Meno di un mese fa, a metà dicembre, i Milwaukee Bucks cavalcavano una “striscia” vincente di 18 partite, ed è stato quasi scontato andare a controllare quale fosse il record NBA di partite vinte consecutivamente. Per gli amanti della storia la risposta era riposta in un cassetto della memoria: tra il novembre del 1971 ed il gennaio 1972 i Los Angeles Lakers avevano messo in piedi un filotto di 33 vittorie, la più lunga serie in tutte le leghe di sport professionistico statunitense.
Il 16 dicembre il sogno dei Bucks si è infranto contro i Dallas Mavericks che, seppur privi della stella Luka Dončić, hanno espugnato il Fiserv Forum col punteggio di 120 a 116, rendendo vani i 48 punti messi a referto da Giannis Antetokounmpo. Per raggiungere il record dei Lakers però mancavano ancora 15 successi…un po’ troppi.
Ecco quindi che, a distanza di 48 anni da quella favolosa serie, è giusto ricordare i Los Angeles Lakers protagonisti di un’impresa che difficilmente verrà superata. Perché se è vero che i record sono fatti per essere battuti, “quota 33” rimane una cima difficilissima da scalare.
Alla guida di quella formidabile squadra c’erano due…nemici storici dei Lakers: il capo allenatore era Bill Sharman ed il suo vice era K.C. Jones. Con la maglia di Boston entrambi avevano inferto ai gialloviola diverse delusioni e proprio per questo erano stati “arruolati” dal proprietario Jack Kent Cooke: se c’era chi sapeva come si fa a vincere, quelli erano i Celtics ed averne un paio al timone poteva essere la soluzione. I due, poi, potevano contare su una squadra fenomenale: sotto canestro c’era Wilt Chamberlain, il più dominante giocatore della storia NBA che, nonostante avesse raggiunto i 35 anni, contribuiva ancora con 15 punti e 19 rimbalzi di media a partita. Per capire meglio l’impressionante potenza di Chamberlain è sufficiente dire che a 59 anni in palestra avrebbe “alzato” ancora 211 chili alla panca…più di Arnold Schwarzenegger e Shaquille O’Neal che al massimo – e negli anni migliori – si sono entrambi fermati ad un comunque ottimo 204 chilogrammi.
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Al suo fianco in posizione di ala la coppia composta da “Happy” Hairston, poderoso rimbalzista e difensore, e Jim McMillian, il “Duca Nero” visto anche a Bologna che contribuiva alla causa con quasi 19 punti di media. Il “back-court” era esplosivo, con il fenomenale mancino Gail Goodrich (25.9 punti di media con il 49% al tiro) e “Mister Logo”, un Jerry West che nonostante i 33 anni suonati ancora riempiva i tabellini a 25.8 punti e quasi 10 assist per partita.
Il segreto della “striscia” fu la continuità. “Consistency”, la chiamano oltreoceano, ed era un concetto fortemente perseguito da Sharman. “I Celtics erano solidi e costanti, quello è il trucco” diceva, e il manipolo di stelle che in carriera – proprio a causa di Boston – aveva vinto molto meno di quanto avrebbe potuto e voluto si mise al lavoro con la massima umiltà.
Altro ingrediente fondamentale, sebbene sembri il classico “cliché”, fu quello di “giocare una partita alla volta”. E funzionò, mentre le settimane passavano e ogni avversaria ci metteva qualcosina in più per interrompere la serie. Ma il 9 gennaio 1972 Larry Costello, coach di Milwaukee, annunciò solennemente: “Stasera li batteremo, noi siamo i campioni NBA e tutto quello che hanno i Lakers è questa serie vincente”. Il confronto secondo gli addetti ai lavori ruotava sul “match-up” tra Kareem Abdul Jabbar e Wilt Chamberlain. Il campione newyorchese alla fine dominò la sfida catturando 20 rimbalzi e mettendo a segno sia 39 punti che un potente destro alla mandibola di “Happy” Hairston, reo di averlo bloccato (forse involontariamente) sotto canestro. Il pugno non fece felice “Happy”, mentre gli arbitri fischiavano a Jabbar un fallo tecnico. Niente espulsioni, erano altri tempi. Chamberlain (15 punti e 12 rimbalzi) stava invecchiando, e Jabbar era il nuovo re…
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A fine partita coach Bill Sharman si complimentò con gli avversari per l’attenta difesa che aveva costretto i suoi a 24 palle perse e ad un misero 39% al tiro, ma si tenne dentro il ricordo delle parole di Costello, parole che avrebbe utilizzato al momento giusto, nei playoffs.
Ai 39 di Jabbar Oscar Robertson ne aggiunse 17, Lucius Allen 18 e John Block altri 17, mentre per i californiani Jerry West (5 su 16), Gail Goodrich (5 su 20) e Jim McMillian (7 su 19) sparavano a salve. Ma come si faceva a criticarli? Dal 5 novembre avevano effettuato 27 voli e dormito in oltre venti alberghi diversi. Trentatrè vittorie in 64 giorni, un’impresa che rimane praticamente irraggiungibile anche a distanza di quasi cinquant’anni. Quattro mesi dopo, il 7 maggio 1972, i Lakers avrebbero alzato il trofeo di Campioni NBA scalzando i Bucks al termine di una Finale contro New York che praticamente non avrebbe avuto storia. I gialloviola non avevano “solo” la striscia, adesso, ma anche il primo titolo ottenuto a Los Angeles dopo i cinque vinti a Minneapolis.
Sono passati 48 anni da quel 9 gennaio 1972, e oggi come non mai quello delle 33 vittorie consecutive si dimostra uno dei record più difficili da abbattere.