In un periodo così surreale, in cui la NBA, come il mondo intero, è paralizzata dall’emergenza Coronavirus, la pallacanestro è momentaneamente sparita dalle nostre vite. Niente basket giocato in palestra o al campetto, niente NBA in televisione. Come di solito accade ad agosto, ci si approccia alla lega più spettacolare al mondo solo in termini di ciò che è già successo (ecco allora le finali storiche, i vecchi All-Star Game o i documentari sulle leggende di un tempo) o di ciò che potrebbe succedere. Carichi di indispensabile ottimismo, in questo paradossale marzo 2020 giriamo la manopola del gas e ci buttiamo con decisione sulla seconda strada, quella con vista sul futuro. O meglio, sul condizionale. In attesa di tornare, il più presto possibile, a vivere il tempo che conta di più: il presente.
Comunque vada a finire la stagione, il titolo 2020 rappresenterà un’importante pagina di storia per la NBA. Nel caso estremo in cui il perdurare dell’emergenza costringesse la lega a cancellare l’annata, avremmo il primo titolo non assegnato di sempre, una pagina bruciata in un libro aperto nel lontano 1946. Se la stagione riprendesse, però, assisteremmo finalmente all’inizio di una nuova era. Con i Golden State Warriors matematicamente fuori dai giochi, alle NBA Finals vedremmo certamente dei nuovi protagonisti. Anche se i Toronto Raptors dovessero ripresentarsi alla serie per l’anello, vinta nel 2019, ci troveremmo di fronte a qualcosa di assolutamente impronosticabile, fino a qualche mese fa. Insomma, in qualunque città finisca, il titolo NBA 2020 rappresenterà una svolta, sia per la carriera di alcuni giocatori, sia per la storia di una franchigia. Vediamo, nel dettaglio, cosa implicherebbe una vittoria per ognuna delle principali candidate.
Los Angeles Lakers

Il titolo NBA 2020 sarebbe il diciassettesimo nella storia della franchigia, e le permetterebbe di raggiungere i Boston Celtics sul podio delle più vincenti di sempre. LeBron James alzerebbe al cielo il quarto Larry O’Brien Trophy e (verosimilmente) il quarto titolo di Finals MVP, diventando l’unico nella storia a venir premiato con tre maglie diverse. Aggiungerebbe una perla importantissima a una collana che mai si era vista prima, nella storia di questo gioco, e si unirebbe al ristretto club degli immortali gialloviola che hanno riempito di stendardi lo Staples Center. Anthony Davis lascerebbe finalmente un segno indelebile in una carriera fin qui caratterizzata da prestazioni individuali altisonanti e da risultati di squadra mediocri. Il titolo 2020 rappresenterebbe il grande riscatto di Dwight Howard, dopo un avvio di carriera da dominatore, un prosieguo da ‘reietto’ e la redenzione come affidabile role player nella sua seconda avventura gialloviola. Anche Rajon Rondo coronerebbe il suo imprevedibile viaggio, cominciato come geniale mente dei Celtics campioni NBA 2008 e proseguito fra sconcertanti alti e bassi a Dallas, Sacramento, Chicago, New Orleans e Los Angeles. Quello del 2020 sarebbe il terzo titolo NBA per Danny Green, già prezioso ‘3&D’ per San Antonio Spurs e Toronto Raptors, e per JaVale McGee, su cui in pochi avrebbero scommesso, a un certo punto. A proposito di scommesse: Dion Waiters passerebbe in una sola stagione dagli orsetti gommosi ‘corretti’ di Miami all’anello di campione NBA, mentre l’undrafted Quinn Cook metterebbe in bacheca il suo secondo trofeo. Poi ci sarebbe Frank Vogel: prima allenatore dei sorprendenti Indiana Pacers di Paul George, poi ‘prigioniero’ degli sconclusionati Orlando Magic, quindi assunto fra mille polemiche da una franchigia in piena rivoluzione come i Lakers. Mai come in questo 2020, il titolo NBA sarebbe in grado di lavare in un colpo solo tutto lo sporco accumulato negli ultimi anni.
Los Angeles Clippers

Il titolo 2020, in caso di vittoria dei Clippers, sfaterebbe una delle grandi ‘maledizioni’ dello sport americano. Quelli che dal 1984 sono visti come i ‘cugini poveri’ dei Lakers, la franchigia perdente per eccellenza, che si era qualificata ai playoff solamente sette volte nei suoi primi 41 anni di vita, salirebbe sul tetto del mondo NBA. Più che il coronamento del progetto di rilancio avviato da Steve Ballmer, sarebbe forse l’inizio di una nuova dinastia, vista la profondità del roster e il livello dei giocatori di punta. Sarebbe il secondo titolo da capo-allenatore per Doc Rivers e l’ennesimo trionfo da dirigente per Jerry West. Un trionfo che vedrebbe, tra gli artefici principali, Lou Williams, Montrezl Harrell e Patrick Beverley, tutti arrivati da Houston nella trade che ha portato via Chris Paul, colui che per primo (insieme a Blake Griffin) aveva reso rilevanti i Clippers. Kawhi Leonard centrerebbe l’impresa in cui potrebbe riuscire anche LeBron James: diventare il ‘profeta’ di tre franchigie diverse, vincendo oltretutto due titoli consecutivi con due maglie differenti, sempre da protagonista. Paul George avanzerebbe una forte candidatura per la Hall Of Fame coronando una carriera vissuta fin qui ad altissimi livelli, ma senza aver avuto mai la possibilità di arrivare fino in fondo. E chissà che in città, aspettando la nuova arena di Inglewood, non si cominci davvero a parlare anche dei Clippers…
Milwaukee Bucks

Il titolo NBA 2020 sarebbe il secondo nella storia dei Bucks e, anche in questo caso, a guidare la franchigia fino alla Terra Promessa sarebbe un fenomeno generazionale. Nel 1971 era Lew Alcindor, poi conosciuto come Kareem Abdul-Jabbar, oggi sarebbe Giannis Antetokounmpo. ‘The Greek Freak’ coronerebbe con il Larry O’Brien Trophy e (presumibilmente) con il premio di Finals MVP la sua inarrestabile progressione: dalle strade di Atene alla NBA, da sconosciuto rookie a Most Improved Player Of The Year, da All-Star a (due volte?) MVP. Un titolo che si trasformerebbe in un bel ricordo di famiglia sia per i fratelli Antetokounmpo (nel roster di Milwaukee c’è anche Thanasis), sia per i gemelli Brook e Robin Lopez. Sarebbe il trionfo di un progetto forse inevitabile, ma rischioso: quello di investire tutto su un gruppo privo di una seconda stella, i cui componenti di spicco (Khris Middleton, Eric Bledsoe, Brook Lopez) non hanno certo enormi margini di crescita. Il titolo 2020 consacrerebbe Mike Budenholzer come uno dei migliori allenatori della nostra epoca, e coronerebbe con un anello la lunga e avventurosa carriera di super-veterani come Ersan Ilyasova, George Hill, Wesley Matthews e Marvin Williams.
Le outsider

La scorsa estate, dopo l’addio di Kawhi Leonard, i Toronto Raptors sembravano condannati al fuoco eterno. Invece, in questo 2019/2020 si sono confermati una potenza della Eastern Conference. Dopo 64 partite, hanno esattamente lo stesso record (46 vittorie e 18 sconfitte) della passata stagione, chiusa alzando il Larry O’Brien Trophy nel cielo di Oakland. Un clamoroso back-to-back ci costringerebbe a un mea culpa collettivo e ci darebbe un’importantissima lezione in chiave futura: guai a mettere sempre il singolo (con tutto il rispetto per gli ottimi Pascal Siakam, Kyle Lowry e Fred VanVleet) al di sopra dell’organizzazione. Un’eventuale vittoria di Boston Celtics, Philadelphia 76ers o Denver Nuggets, oltre alle implicazioni numeriche (sarebbe il diciottesimo titolo per Boston, il quarto per Phila e il primo per Denver, che debutterebbe alle NBA Finals), rappresenterebbe un’imprevedibile (e forse prematura) svolta generazionale, catapultandoci di colpo dallo ieri al dopodomani. E se il titolo NBA 2020 lo vincessero gli Houston Rockets di Mike D’Antoni, James Harden e Russell Westbrook? Bè, in quel caso, bisognerebbe davvero chiudere Internet. Game over. Non succede, ma se succede…