I momenti che hanno dato ai Celtics – e quindi all’NBA – dignità e blasone sono decine e decine. Spesso non c’è stata una telecamera ad immortalarli: la scelta di Chuck Cooper, il mutuo acceso da Walter Brown pur di non chiudere i battenti, l’organizzazione del primo All Star Game, il primo quintetto base afroamericano ed il primo coach nero sono solo alcuni degli istanti pregni di significati sportivi e sociali. Poi ci sono le giocate storiche: canestri all’ultimo secondo, rimonte mozzafiato, vittorie larghe e tiri fortunati, tutti episodi che sono impressi nella memoria sportiva dei tifosi in maniera indelebile. Boston ha anche una storia di palle decisive rubate agli avversari: quella di Havlicek nel 1965 è la più famosa, ma ad essa vanno aggiunte quelle di Bird ai Pistons nel 1987, di Henderson e Parish ai Lakers nel 1984, di Posey ancora ai Pistons nel 2008. Ed è proprio soffermandomi su una di queste “steals” che un’immagine leggermente sfocata mi ha colpito, regalandomi emozioni nuove e confermando una volta di più che “Celtics Pride” ed “Ubuntu” sono espressioni ricche di significati, la definizione di qualcosa di profondo.
E torniamo dunque a quel 15 aprile 1965 che ai tifosi più attenti richiama immediatamente alla memoria un gesto sportivo di incommensurabile bellezza. Boston Garden, settima partita della serie tra Boston e Philadelphia: mancano quattro secondi al termine, i Celtics conducono per 110 a 109 ed hanno la possibilità di mettere in gioco il pallone da sotto canestro e di “uccidere” il cronometro. Bill Russell prende la “spicchia”: ha gestito decine di rimesse decisive, e non ha mai sbagliato un passaggio importante. Questa volta, però, qualcosa va storto. Il numero 6 vede uno spiraglio, alza un passaggio che va ad incocciare sui cavi di sostegno del canestro, e regala la rimessa agli avversari. Timeout immediato e mentre i Sixers studiano il modo di segnare un canestro, vincere la partita ed aggiudicarsi la serie, il capitano si scusa coi compagni chiedendo loro aiuto. Sam Jones, “Satch” Sanders, John Havlicek e K.C. Jones si scambiano una rapida occhiata. Sanno bene che Bill ha guidato i Celtics a sette titoli negli ultimi otto anni caricandosi la maggior parte del peso sulle spalle, è arrivato il momento di salvarlo da una possibile “onta sportiva”.
Mentre le squadre rientrano in campo, i tifosi del Garden sono sotto shock: una serie di sette partite buttata via in quel modo, a quattro secondi dalla fine? Non è possibile. I Sixers, dal canto loro, hanno buone probabilità di segnare. Hal Greer e Chet Walker sono ottimi tiratori, e se il gigantesco Wilt Chamberlain sovrasta Bill Russell di circa 10 centimetri, il “mismatch” tra l’enorme Johnny Kerr e K.C. Jones è ancora più stordente: 23 centimetri! Greer prende la palla mentre Russell si para davanti al “Grande Affondatore” per negargli ricezione e schiacciata, K.C. tiene botta su Kerr. Scorrono uno, due, tre secondi ed un lampo passa nella mente di Havlicek: “Greer è in difficoltà”. Legge perfettamente il lungo “lob” che il Sixer disegna verso Chet Walker, e……
Johnny Most battezza uno dei più famosi frammenti di “play-by-play” della storia dello sport: “He gets it out deep and Havlicek steals it! Over to Sam Jones! Havlicek stole the ball! It’s all over!”
Tutti abbiamo assaporato quel momento decine e decine di volte, quelle immagini in bianco e nero leggermente sgranate dalle grandi lenti della telecamera Norelco. E tutti siamo passati dall’emozione iniziale all’indifferenza, come il tormentone musicale dell’estate o gli spot dell’NBA che all’inizio ti coinvolgono e poi ti annoiano. In questo periodo di ozio forzato sono andato a riguardarmi la giocata, a cercare qualche particolare…trovandone uno che fa la differenza.
Nel filmato, subito dopo la palla “deviata” da Havlicek (che Johnny Most fece diventare “rubata”), Sam Jones palleggia “uccidendo il cronometro e la folla tracima dalle tribune invadendo il “parquet incrociato”. Mentre i Sixers sconsolatamente si avviano verso gli spogliatoi la marea di tifosi travolge tutti e trova in Havlicek l’oggetto del proprio culto. Il numero 17 viene issato in trionfo dai fan ed esulta finchè dal lato destro dello schermo Bill Russell comincia a fendere il fiume impetuoso nel tentativo di avvicinarsi al compagno. “Hondo” si accorge che il capitano lo sta cercando, si volge verso di lui e mentre è ancora in alto, “banner umano”, allunga il braccio a trovare il compagno. E’ uno strano scambio tra due individui poco adusi a smancerie: una specie di carezza, o di stretta di mano, o di abbraccio a distanza. Quel gesto è il grazie di William Felton a John J., a rinnovare un legame che li ha portati al successo e continuerà a portarli alla vittoria per un altro lustro. E’ una dimostrazione di affetto, un abbraccio rubato in una città in cui le tensioni razziali covano nell’ombra. Un momento condiviso da un bianco ed un afroamericano che può sembrare qualcosa di raro, forse unico, ma in realtà ai Celtics è la regola già da 15 anni. “Bones” McKinney, “southerner” dal North Carolina, nel 1950 aveva chiesto di poter affiancare il primo nero scelto nell’NBA, Chuck Cooper, nei suoi primi mesi di basket professionistico e Walter Brown e Red Auerbach avevano sempre vigilato che ai Celtics il discorso sul colore non riguardasse il bianco o il nero ma solo il verde.
Qualcosa è andato perso, negli ultimi anni di un’America – solo un’America? – di un mondo tronfio e caciarone. Qualcosa che andrebbe riscoperto e preso ad esempio per diventare – o tornare ad essere – degli uomini migliori. Un abbraccio sfocato in una pellicola di cinquantacinque anni fa ci permette di ricordare un momento che non è solo un’impresa sportiva ma anche espressione di fratellanza e amicizia in barba al diverso colore della pelle.
A distanza di 55 anni uno dei due protagonisti gode di salute cagionevole, anche se nelle rare apparizioni continua a essere un riferimento per NBA e tifosi. L’altro è scomparso, vittima di un male che è uno dei grandi nemici dell’umanità: Parkinson. Un pensiero a entrambi è dovuto, nel giorno del cinquantacinquesimo anniversario di quello splendido gesto sportivo e di quello splendido gesto di amicizia.