Sono molte le figure che hanno caratterizzato intere epoche della NBA, dal campo o dalla panchina. La lista dei giocatori sarebbe lunghissima, a partire da George Mikan, passando per Bill Russell, Kareem Abdul-Jabbar, Larry Bird, Magic Johnson e Michael Jordan, per finire con Kobe Bryant e LeBron James. Beninteso, sono sicuro che ogni appassionato avrebbe almeno un’altra mezza dozzina di nomi da aggiungere, del tutto legittimamente. Per gli allenatori, che sono un passo indietro rispetto alle luci della ribalta, l’elenco è più breve: Phil Jackson, Pat Riley, Gregg Popovich, Chuck Daly, soprattutto per i tifoi dei “Bad Boys” di Detroit, poi Red Holzman (uguale, ma per i tifosi dei Knicks), oppure John Kundla (5 titoli con i Minneapolis Lakers agli albori della NBA) per gli storici più rigorosi; magari Bill Fitch o Don Nelson. Nessuno di questi ha tuttavia incarnato lo spirito di una sola franchigia fino a farne un “marchio di fabbrica”, unendolo inoltre ad una serie di vittorie pressochè irripetibile, come “Red” Auerbach.
Proprio 70 anni fa, in questo stesso giorno, Walter Brown, allora proprietario dei Boston Celtics, trovava l’accordo con “Red” che diventava il nuovo coach sostituendo Alvin Julian.
Auerbach all’epoca era già un veterano della NBA, avendo allenato i Washington Capitols dal 1946, anno di nascita della Lega, fino al 1949 e poi i Tri-Cities Blackhawks (i futuri Atlanta Hawks). In effetti, l’esperienza a Moline/Rock Island/Davenport (le Tri-Cities…) non era stata felicissima: di fatto la prima stagione perdente della sua carriera, anche se era subentrato “in corsa” quando il bilancio era 1-6, fino a portare una squadra dal modesto talento ad un passo dal 50% di vittorie (28-29). Il rapporto con il vulcanico Ben Kerner, proprietario della franchigia, non era facile: due teste dure raramente riescono a convivere per troppo tempo. La goccia che fece traboccare il vaso fu la cessione di John Mahnken proprio ai Celtics, cessione non concordata con Red il quale, anzi, era stato rassicurato sul fatto che non avrebbe avuto luogo. Non era uomo capace di compromessi, quindi fece le valigie e si mise sul mercato: dopo un abboccamento con i Providence Steamrollers (che tuttavia erano “alla canna del gas” e avrebbero chiuso i battenti di lì a poco), venne contatttato da Walter Brown, storico owner del Trifoglio. Auerbach accettò la proposta, era il 27 Aprile del 1950 e il futuro di Boston ruotò di 180°. La franchigia del Leprechaun era nata insieme alla NBA ma non aveva avuto ancora una singola stagione vincente tra le quattro giocate sino ad allora; inoltre, come molte altre squadre in quei burrascosi inizi, non navigava in buone acque. Il primo atto ufficiale di Red fu il draft 1950, quello in cui NON scelse Bob Cousy, attirandosi le critiche di parecchi tifosi, dato che il ragazzo era già un beniamino di Holy Cross, college con sede a Worcester, a 50 miglia da Boston. In compenso scelse il primo atleta nero nella storia della NBA, Chuck Cooper. L’errore di non puntare su Cousy fu ampiamente “bilanciato” dal lavoro di ripulitura dello spogliatoio, con una serie di partenze di elementi non adatti al suo gioco e di arrivi importanti tra cui Ed Macauley e Charlie Share, più una scelta arrivata da trade che si sarebbe nel giro di un anno trasformate in Bill Sharman, altro campione che avrebbe contribuito ad aprire la dinastia vincente. Fu anche fortunato, perchè Bob Cousy arrivò comunque “dalla finestra”, via dispersal draft. La prima stagione fu immediatamente di alto livello, un bilancio di 39 vinte e 30 perse che portava dritto ai playoffs, grazie soprattutto a “Easy Ed” Macauley, un “5” atipico, talentuosissimo, prolifico ed agile. Sarebbe stato croce e delizia dei tifosi per lungo tempo: delizia perchè era un prototipo di “Big man” decisamente moderno, croce perchè era un prototipo di “Big man” decisamente moderno…insomma, sapeva segnare, aveva mobilità, 30 anni dopo sarebbe stato un crack (e, in parte, lo fu), ma purtroppo a quei tempi il gioco era lento, il cronometro dei 24 secondi era di là da venire e tutto contribuiva a favorire i lunghi “pesanti”, magari lenti ma solidi. Questo si tradusse, in quel primo campionato e per molti anni ancora, in bel gioco spettacolare e risultati convincenti fino ai playoffs, dove arrivavano sistematiche uscite al primo o secondo turno. Tutto cambiò nel 1956 quando Auerbach, fidandosi del suo vecchio mentore Bill Reinhart (che lo allenò alla George Washington University), chiese a Brown di fare il possibile per accaparrarsi William Felton Russell, un filiforme centro che prometteva benissimo. L’owner imbastì una trade con gli Hawks e l’affare fu cosa fatta. Quasi contemporaneamente al draft approfittò della “territorial pick” per assicurarsi i servigi di un altro ventiduenne, Tom Heinsohn. La squadra, che già come sappiamo poteva contare su Sharman e Cousy, fece il salto di qualità e diventò una macchina inarrestabile, capace di vincere subito il primo titolo. Fu solo il primo passo, perchè il fiuto di “Red” raramente sbagliava: Frank Ramsey, Sam Jones, K.C. Jones, Tom Sanders, John Havlicek, nomi che ogni appassionato di basket conosce, vennero arruolati dai Celtics e portarono la bellezza di nove successi in undici stagioni, un record con ogni probabilità ormai inarrivabile. Auerbach non era, banalmente, “quello che dava le indicazioni in partita e negli allenamenti”, ma era un tuttofare: general manager, addetto all’equipaggiamento, organizzatore delle trasferte, addetto al marketing…in quegli anni costruì la sua iconografia: motivatore con i giocatori, litigioso con gli arbitri, per distinguersi dagli altri allenatori che fumavano sigarette accendeva sigari, ma non in un momento qualsiasi, bensì quando era certo di aver portato a casa la partita. Succedeva spesso e quello diventò per tutti “il sigaro della vittoria”, non necessariamente solo per il mondo del basket.
Lasciata la panchina nel 1966 mantenne il ruolo di “Executive” e non sbagliò nemmeno la scelta del successore, affidandosi a Bill Russell (primo afroamericano ad allenare in NBA, in versione coach/giocatore), che guidò la squadra ad altri due titoli in tre stagioni. Poi, negli anni ’70, dopo il ritiro dei “grandi vecchi” ricostruì una squadra vincente in un solo lustro, affidandosi al “suo” Tom Heinsohn in qualità di allenatore ed al superstite John Havlicek, affiancandogli Jo Jo White e Dave Cowens, pescati al draft, più altri tasselli importanti come Paul Silas e Charlie Scott, arrivati via trade. Da qui altri due anelli, nel 1974 e nel 1976. Il resto è storia abbastanza recente, abbastanza almeno per essere ricordata dai cinquantenni di oggi, figli delle prime partite trasmesse in televisione con la familiare voce di Dan Peterson e cresciuti a sfide tra Lakers e Celtics: l’avventurosa scelta di Larry Bird nel 1978, lo “scippo” con il quale, nel 1980, barattò la prima pick assoluta (che Golden State trasformò nel tristemente noto Joe Barry Carroll) con la terza più Robert Parish (e quella terza scelta venne spesa per Kevin McHale), poi Rick Robey ai Suns in cambio di Dennis Johnson…avrebbe potuto essere un capolavoro anche la seconda scelta strappata a Seattle nel 1986 che si trasformò in Len Bias, un ragazzo che sarebbe potuto diventare un altro Jordan, o un Bird, o un Magic, se un destino maligno non lo avesse portato via dopo un party organizzato in suo onore per la firma del contratto da professionista. Da quel momento iniziò la discesa del Trifoglio, una discesa che Red non riuscì ad evitare, tra altre tragedie (la morte di Reggie Lewis) e un mondo del basket che ormai, probabilmente, era cambiato troppo: alcuni problemi di salute costrinsero l’ormai invecchiato Auerbach ad assumere un ruolo sempre più marginale nella franchigia, fino a che, nel punto più basso della storia del Leprechaun, Paul Gaston affidò a Rick Pitino il titolo di GM e l’ineffabile Rick, in un amen estromise il patriarca. Questi non abbandonò mai i Celtics, continuando a far sentire la sua presenza ai giocatori quasi fino alla morte, avvenuta nel 2006, prima di poter assistere al capolavoro del vecchio pupillo Danny Ainge che, grazie alla manovra che portò a Boston Kevin Garnett e Ray Allen, avrebbe di nuovo conquistato il Larry O’Brien Trophy.
Due frasi, una dello stesso Auerbach e l’altra di un grandissimo, Bob Cousy, fotografano al meglio chi e cosa è stato Red. La prima risale al 1980, quando vide la squadra festeggiare in spogliatoio la conquista del primato nella Atlantic Division e sbottò irritato: “Qui non si festeggiano i titoli divisionali, si festeggiano i titoli NBA!”. La seconda, di Cousy, non necessita di commenti: “Sapeva riconoscere il talento. Sapeva come assicurarselo. Sapeva come allenarlo. Sapeva come motivarlo. L’eredità che lascia al mondo dello sport è senza eguali”.