Nello sport, come pure nella vita, ci sono persone che nel proprio campo esplodono improvvisamente quando in precedenza nessuno avrebbe scommesso su di loro una lira.
E ci sono persone che, anche dopo questa “esplosione”, non vengono mai considerate quanto forse meriterebbero.
Il protagonista della nostra storia di basket di oggi è una di queste.
Uno che è partito sempre in sordina, anche tra i professionisti, visto che è stato selezionato alla ventinovesima scelta del secondo turno del Draft.
Ma che alla fine della sua carriera potrà vantare tre titoli NBA vinti, una nomina a MVP delle Finals, 5 partecipazioni all’All Star Game, una nomina nell’All NBA First Team e una nell’All NBA Second Team, 6 nomine nell’All NBA Defensive first team e 3 nell’All NBA Defensive Second Team!
Avete capito di chi stiamo parlando?
Se ancora non ci siete arrivati si tratta di un ragazzo californiano di colore e lentigginoso sul viso, che rispondeva al nome di Dennis Johnson e che poi è diventato celebre come DJ.
Già da ragazzino nessuno avrebbe pensato a un futuro nel basket per lui, visto che era appassionato di baseball e non aveva neanche particolari doti fisiche.
Tuttavia DJ viene introdotto al basket dal padre e entra nella squadra del liceo dove non brilla, visto che gioca una manciata di minuti a partita in media.
Alla fine del liceo si mette a fare lavoretti modesti e a giocare nei campetti di street basket nel tempo libero.
Dennis però, ha anche un improvviso sviluppo fisico che lo fa crescere fino all’altezza di 1,93 metri da circa 1,80 che era e lo fa sviluppare nella muscolatura delle gambe fino a diventare un grande saltatore.
Le sue doti fisiche e di grande difensore vengono notate, sui campetti dove gioca, dal coach del Los Angeles Harbor College Jim White che lo arruola nella sua squadra di Junior College.
Dennis in tre stagioni lo ricompensa con prestazioni da 19 punti e 12 rimbalzi medi a partita.
Arriva così una chiamata da due diversi college che, qualche anno prima, era impensabile.
Dennis sceglie la Pepperdine University, dove rimane un solo anno ma in cui gioca alla grande.
Si mette in mostra con ottime cifre (15.7 punti, 5.8 rimbalzi e 3.3 assists) ma soprattutto si guadagna una nomina di grande difensore.
Il suo coach lo stima molto, ma Dennis ha un carattere difficile, che a volte lo fa andare in escandescenze.
Johnson si dichiara eleggibile per il Draft del 1976 ma anche lì gli addetti del settore lo sottovalutano.
Che sia dovuto a una scarsa visibilità avuta al College o a una fama di persona difficile che alcune fonti riportano alla fine viene scelto soltanto al secondo giro, ventinovesima chiamata, dai Seattle Supersonics.
A Seattle non ingrana subito e lo fanno partire dalla panchina, anche se ha buone cifre.
Ma Dennis, ormai lo abbiamo capito, è uno che parte lento ma poi non lo ferma nessuno, come un motore Diesel.
La svolta arriva l’anno successivo.
Dopo una partenza disastrosa dei Sonics, coach Bob Hopkins viene sostituito da Lenny Wilkens che inserisce DJ nel quintetto base in posizione di guardia, accanto al playmaker Gus Williams.
Dennis incrementa le sue cifre personali a 12,7 punti e 2,8 assists di media a partita, ma soprattutto la squadra comincia a collezionare vittorie su vittorie, chiudendo la stagione con un record di 47 vinte e 35 perse.
Ai playoffs i Sonics eliminano i Los Angeles Lakers, i campioni in carica Portland Trail Blazers e i Denver Nuggets, approdando inaspettatamente alle Finals.
Trovano i Washington Bullets a contendere loro il trofeo.
La serie è combattutissima, Dennis si mette in luce come difensore, in gara tre rifila 7 stoppate ai suoi avversari, un record per una guardia nelle Finals.
I suoi Sonics si portano in vantaggio 3-2, ma alla fine perdono in 7 gare.
Nell’ultima decisiva gara 7 è proprio DJ a fallire la partita, sbagliando tutte e 14 le sue conclusioni dal campo.
Dennis non si perde d’animo e ne trae una grande lezione.
La rivincita arriva subito.
Nella stagione successiva, 1978-79, i Sonics, dopo aver concluso la regular season con il record di 52-30 arrivano di nuovo alle Finals ancora contro i Bullets.
Questa volta non c’è storia.
Dopo aver perso gara 1, i Sonics travolgono Washington nelle successive 4 partite.
DJ guida la squadra alla vittoria con 23 punti, 6 assists e 6 rimbalzi di media a partita, con la ciliegina dei 32 punti in gara 4, vinta ai supplementari.
La sua carriera è all’apice per statistiche e riconoscimenti personali, visto che viene nominato MVP delle Finals.
Ma gli anni più belli, a livello di vittorie di squadra, devono ancora venire.
Dennis entra in conflitto con il coach Wilkens, non per un particolare episodio accaduto ma per una semplice differenza di vedute e incompatibilità di carattere.
E’ inoltre insofferente per l’ingaggio ricevuto e si crea una rivalità con l’altra stella Gus Williams.
L’anno successivo, i Sonics, che si sono fermati alla finale di Conference, lo scambiano con i Phoenix Suns per Paul Westphal.
Il loro record vinte/perse in regular season cala di ben 22 vittorie!
A Phoenix Dennis resta tre anni.
Anche lì si mette in luce non solo come difensore, visto che diventa il primo realizzatore della squadra.
I Suns però non vanno mai oltre la semifinale di Conference e DJ comincia ad avere dei contrasti anche con coach John MacLeod.
Il general manager Jerry Colangelo nel 1983 lo scambia con i Boston Celtics in cambio di Rick Robey e alcune scelte al draft.
DJ arriva a Boston con un po’ di scetticismo, visto il suo carattere a volte problematico.
Ma invece è proprio lì che vive gli anni più belli della sua carriera, giocando per una delle migliori squadre di sempre e vincendo altri due titoli, nel 1984 e nel 1986.
Quella squadra è dominata dai “Big Three“, il trio costituito dalle stelle Larry Bird, Kevin McHale e Robert Parish che secondo molti hanno formato il front pack migliore della storia del gioco.
A Dennis non viene chiesto di essere il leader della squadra, né il miglior realizzatore.
Ma avrà un compito di grandissima importanza.
Fermare Magic Johnson, il grande nemico dei Celtics, leader dei Los Angeles Lakers, con i quali in quegli anni si è accesa una delle più grandi rivalità di sempre nello sport, .
Dennis si rivela fondamentale.
Celtics e Lakers si affrontano nella finale del 1984, una delle più spettacolari e combattute di sempre.
La serie sembra saldamente in mano ai Lakers che conducono 2-1, hanno ribaltato il fattore campo e in gara 3 annichiliscono i Celtics con il punteggio di 137 a 104!
In gara 4 però il coach decide di mettere DJ, cui fino a quel momento ha preferito Gerald Henderson, come titolare a difendere su Magic.
Dennis si esalta non solo in difesa, dove riesce a limitare i terribili contropiedi innescati da Magic, ma anche in attacco.
Segna infatti 22 punti e i Celtics espugnano, ai supplementari, il Forum di Los Angeles, riprendendosi il fattore campo, in una delle partite più belle di sempre.
Nelle 4 gare finali DJ ha una media di 21,5 punti a partita e i Celtics trionfano in sette partite.
Rispetto ai primi anni di carriera si è ormai evoluto come giocatore.
Da guardia realizzatrice che si affidava alla potenza fisica è diventato un intelligente regista del gioco e si è costruito un ottimo Jumper dalla media che prima non aveva nel repertorio.
La sua intesa con il leader della squadra, Larry Bird, è fantastica.
Larry si consulta spesso con lui su come affrontare gli avversari.
Due episodi, passati alla storia, ci fanno capire quanto questa intesa sia forte.
Un fantastico passaggio di DJ, che vede Larry libero sotto canestro e, difeso da giocatori più alti, gli passa la palla facendola rimbalzare sul tabellone.
Ma soprattutto l’incredibile passaggio all’ultimo secondo di una tiratissima gara 5 di finale di conference contro i Detroit Pistons che Larry, dopo aver rubato il pallone sulla rimessa, quando tutto sembrava perso, riesce a far arrivare a DJ.
Dennis appoggia al tabellone per la vittoria di un punto che salva i Celtics e, difatti, li manda ancora una volta alle Finals.
In quegli anni le prestazioni di Dennis spesso passano in secondo piano rispetto a quelle di Bird, McHale e Parish che segnano più punti e prendono più rimbalzi ma Dennis è un giocatore fondamentale per quei Celtics.
Sarebbe giusto considerarlo come “il quarto grande” di quella squadra ma, malgrado l’apprezzamento di molti, il grande pubblico non lo considera mai come gli altri tre.
Johnson si ritirerà nel ’90, a quasi trentasei anni.
Magic, che per anni è stato braccato da DJ senza tregua, lo definisce il più grande difensore del backcourt di sempre.
Larry Bird dichiara che è stato il miglior compagno di squadra che abbia mai avuto.
Dopo il ritiro DJ si dedica alla carriera da Coach con alterne fortune.
Ci lascerà troppo presto, il 22 Febbraio del 2007, stroncato da un infarto dopo un allenamento della sua squadra di NBADL, gli Austin Toros.
I Celtics ritirano la sua maglia, che ora è appesa al soffitto del TD Garden insieme alle tante altre maglie leggendarie della franchigia di Boston.
Nel 2010 arriva anche, postuma, l’introduzione nella Hall of Fame.
Ancora una volta DJ fatica per vedersi riconoscere i suoi giusti meriti.
Solo dopo la sua morte il mondo dei basket riconoscerà il valore di uno dei giocatori più sottovalutati di sempre.