Fa un po’ impressione, constatare che il “logo” dell’NBA oggi spegne 82 candeline sulla sua torta. E’ un po’ come quando ti dicono che Topolino ha 91 anni, son Goku ne ha 35 o l’Uomo Ragno 57…fai fatica ad associare età importanti a chi ti ha in qualche modo accompagnato in un viaggio della fantasia. E del resto sono proprio 82, l’aspetto giovanile di Jerry West non deve ingannare perché l’icona del basket NBA è nata il 28 maggio 1938.
Icona…un termine che dapprincipio indicava solo le immagini sacre e che per estensione è prima andato alla conquista del mondo dell’informatica e poi ha investito il quotidiano, definendo i personaggi che rappresentano un periodo storico o un determinato ambiente. Ebbene, nel mondo NBA Jerome Allan West è l’icona indiscussa. Sì, più di quanto lo sia Michael Jordan che, per esigenze di marketing, vedrà sempre associare il proprio “logo” alla Nike. Jerry West, invece, nel 1969 lascia che una sua foto venga utilizzata come base per la creazione del marchio NBA senza chiedere diritti o royalties in cambio. Anzi, da allora rimane sempre molto schivo, quasi imbarazzato, quando gli si parla della cosa.
Del resto Jerry West è uno dei personaggi che hanno dato all’NBA la sua forma attuale: giocatore fortissimo, la sua unica sfortuna è stata quella di uscire da West Virginia University nel 1960, proprio agli inizi della più formidabile dinastia nella storia NBA…quella dei Boston Celtics. I Los Angeles Lakers di Jerry vengono strapazzati a più riprese dai biancoverdi ed il campione ingoia sconfitta dopo sconfitta fino all’ultimo affronto: dopo esser risultato l’MVP delle Finali 1969 (primo ed unico a ricevere il trofeo nonostante la sua squadra fosse stata battuta) si vede consegnare in premio un’automobile nuova di zecca…di colore verde. Se la foto del suo palleggio ancheggiante è stata tradotta in icona, quella della sua uscita dal campo dopo gara 7 delle Finali 1969 è sicuramente tra le più conosciute: mentre i Celtics alle sue spalle esultano, felici, Jerry esce dal campo. Il volto è triste, tirato, spalle e braccia sono rigide. Sembra quasi un robot perché l’ennesimo grande dolore sportivo gli ha tolto l’anima…almeno per qualche giorno.
Per fortuna riesce a spezzare la maledizione nel 1972, ma è indubbio che un atleta della sua classe (15 partecipazioni all’All Star Game, un titolo di MVP della lega, una medaglia d’oro olimpica) avrebbe meritato maggior fortuna. Si rifà ampiamente nella seconda vita, quella di general manager: dopo un beve interregno (buoni risultati anche se non eccezionali) come allenatore, si dà alla costruzione di gruppi vincenti utilizzando a piene mani i dettami del vecchio avversario Red Auerbach. I risultati sono davanti agli occhi di tutti: West crea squadre spettacolari come i Lakers dello “Showtime” di “Magic”, Jabbar e Worthy, e poi mette assieme il gruppo che con l’asse portante Shaq/Kobe si guadagnerà altri a inizio millennio.
Il coach che lui stesso ha voluto, Phil Jackson, è un uomo dalla personalità forte quanto quella di Jerry e vede il GM come una minaccia alla sua libertà d’azione. Sbaglia, ma ha sempre combattuto contro chi alla fine costruiva gli eserciti che poi lui avrebbe portato alla vittoria, lo aveva fatto ai Bulls con Jerry Krause e lo fa anche ai Lakers con West. “Mister Logo” ama la franchigia californiana come un figlio eppure è costretto ad andarsene nel 2002, dopo 42 anni in giallo-viola. Non ci mette molto a trovare una nuova casa, l’NBA conosce bene il suo talento e la sa etica. I Memphis Grizzlies sono una sfida se vogliamo più complicata perché non hanno l’appeal delle spiagge californiane e di Hollywood, ma Jerry in breve tempo assembla una macchina potente (Pau Gasol, James Posey, Jason Williams) con al volante coach Hubie Brown (Allenatore dell’Anno nel 2004). Si ritira nel 2007, ma il basket è la sua vita e nel maggio del 2011 accetta il ruolo di consigliere ai Golden State Warriors. Esprime il veto a una trade Kevin Love-Klay Thompson, nel 2016 telefona a Kevin Durant che decide di firmare per i Warriors: il suo giudizio è sempre lucido, la sua capacità di riconoscere il talento è ancora affilata, e i Warriors anche grazie a lui rivincono il titolo dopo quarant’anni e poi si confermano l’ultima dinastia. Nel giugno del 2017 sono i Clippers a strappargli il “sì”, e del resto Jerry vuole tornare nella sua amata L.A., anche se questo significa passare ai cugini che dividono lo Staples Center con i Lakers.
Secondo voi è un caso che poco dopo alla corte di “Doc” Rivers siano arrivati Paul George e Kawhi Leonard?
Happy birthday, Mr. West.