Una rapida occhiata, buttata lì per curiosità, alle ricorrenze nella storia NBA di questi giorni mi ha fatto tornare in mente un grande giocatore, un po’ dimenticato oggi, appartenente a quella generazione che ha fatto conoscere il basket americano in tutto il mondo.
Il giocatore in questione è Terry Porter, talentuosa point guard dei Portland Trail blazers a cavallo tra anni ’80 e ’90.
La ricorrenza, datata al 1992, è un suo piccolo record che oggi, abituati a un basket impostato tutto sul tiro da tre, non fa un minimo di scalpore.
Durante le finali della Western Conference di quell’anno, Terry mise a segno 18 tiri da tre (su 34 tentativi), record di allora per una serie playoffs chiusa in sei partite.
Ma non è certo questo il motivo per cui ci si dovrebbe ricordare di Terry Porter.
Per i giovani che non lo conoscono e per chi lo ha dimenticato, Terry è stato fra i protagonisti nell’NBA dal 1985 al 2002.
Gli anni più belli della sua carriera sono stati i primi dieci, passati a Portland.
Point guard con un gran tiro, molto abile nel fornire assists ai compagni, insieme alla stella assoluta della squadra, Clyde Drexler, ha formato una delle migliori coppie di backcourt per almeno un decennio.
Quella squadra è stata una delle migliori dei primi anni ’90, nonché l’ultima a portare la città di Portland alle Finals, per ben due volte, nel 1990 e nel 1992, pur non riuscendo mai a superare l’ultimo gradino e a vincere il titolo.
Nel 1990 hanno di fronte i fortissimi “Bad Boys” di Detroit, guidati da Isiah Thomas, squadra talentuosa che gioca duramente, al limite della scorrettezza, senza far sconti a nessuno.
Terry gioca molto bene, con medie di 19 punti e 8,4 assists a partita ma i Pistons sono infermabili e si aggiudicano la serie 4-1, battendo Portland in casa propria per tre volte consecutive.
La seconda volta incontrano sul loro cammino i Bulls di Michael Jordan, che già l’anno precedente avevano vinto il primo titolo.
I media cercano di aumentare l’interesse sulla serie puntando sulla rivalità tra Jordan e Drexler, ma “His Airness” e i suoi Bulls sono troppo più forti.
Dopo le prime quattro 4 gare in equilibrio, Chicago vince la serie 4-2 e Jordan viene eletto MVP delle Finals giustamente, avendo non solo vinto ma anche avuto numeri nettamente migliori del rivale Drexler.
Anche in questo caso Porter gioca ottimamente, segnando 16 punti a partita e distribuendo quasi 5 assists in media.
In quegli anni ha anche la soddisfazione di giocare l’All-Star Game per due volte, nel 1991 e nel 1993.
La sua partecipazione è più che meritata visto che Terry è ai primissimi posti nelle classifiche NBA in quasi tutte le statistiche (assists, tiro da tre, tiri liberi, percentuale dal campo, palle rubate) per diverse stagioni.
Nel campionato 1987-88 ha addirittura una media di 10,1 assists a partita che ne fanno l’unico giocatore della storia dei Trail Blazers ad essere andato, in quella statistica, in doppia cifra media in una stagione.
Tuttavia non viene mai considerato al pari delle grandi stelle, un po’ perchè non ha mai vinto nulla, ma soprattutto perchè si è adattato al ruolo di spalla di Drexler, sacrificandosi un po’ in termini di visibilità, per la sua squadra.
Nel 1995 va via da Portland, da free agent, per firmare con i Minnesota Timberwolves.
Nella città dell’Oregon lascia però, oltre al record di assists nella storia della franchigia (5319), anche un grande ricordo e affetto da parte dei tifosi che porta i Trail Blazers a ritirare la sua maglia numero 30.
A Minnesota gioca 4 anni, per poi andare a Miami un anno e chiudere definitivamente la sua carriera da giocatore ai San Antonio Spurs nel 2002 e cominciare una nuova carriera da coach.
Ancora oggi molti suoi vecchi tifosi ritengono che Porter avrebbe meritato di essere introdotto nella Hall of Fame.
Pur non essendo certo tra le stelle più amate e ricordate di quegli anni, Terry ha comunque il merito di essere stato uno dei grandi di quella fantastica generazione di giocatori che hanno fatto appassionare milioni di ragazzini in tutto il mondo e contribuito a far diventare l’NBA quell’eccezionale fenomeno globale che è oggi.
Scusate se è poco!