Ci siamo: dopo un’attesa estenuante, la stagione NBA è pronta a ripartire. Poche ore fa, il board of governors ha approvato il piano per la conclusione di un 2019/20 gravemente condizionato dall’emergenza Coronavirus. Ciò che stupisce maggiormente sono le tempistiche con cui è stata presa questa decisione; lo scorso 11 marzo, la NBA aveva sospeso le operazioni nel giro di pochi minuti, non appena era giunta la notizia della positività al virus di Rudy Gobert. Sebbene l’epidemia sia giunta più tardi negli Stati Uniti, ufficializzare la ripartenza a quasi tre mesi dallo stop e riprendere a giocare dopo quattro mesi e mezzo appare eccessivo, per una lega che spesso si è dimostrata anni luce avanti, rispetto alle organizzazioni sportive europee.
In ogni caso, ora sappiamo quando, dove e come proseguirà la stagione NBA 2019/20. Si partirà il 31 luglio e si andrà avanti al massimo fino al 12 ottobre (in caso di gara-7 alle Finals). Di conseguenza, il 2020/21 comincerà a dicembre. Se la NBA proporrà una regular season ridotta (come in occasione dei due lockout), oppure un normale calendario posticipando il termine, non è ancora chiaro. La stagione in corso verrà conclusa in un’unica location: lo ESPN Wide World Of Sports Complex, situato nell’enorme Walt Disney World Resort di Orlando, Florida. Un’area che comprende una modernissima arena e diverse strutture in cui ospitare le franchigie e gli addetti ai lavori.
Si ripartirà con sole 22 squadre: alle prime otto classificate di ogni Conference (Lakers, Clippers, Nuggets, Jazz, Thunder, Rockets, Mavericks e Grizzlies da una parte; Bucks, Raptors, Celtics, Heat, Pacers, 76ers, Nets e Magic dall’altra) si uniranno le franchigie ancora virtualmente in corsa per i playoff: Blazers, Pelicans, Kings, Spurs e Suns a Ovest, Wizards a Est. Per Timberwolves, Warriors, Hornets, Bulls, Knicks, Pistons, Hawks e Cavaliers, il 2019/20 finisce qui.
Ciascuna delle squadre restanti giocherà 8 partite di regular season, con un calendario che si avvicinerà il più possibile a quello previsto in origine. Alla fine, se tra l’ottava e la nona classificata ci sarà un margine superiore alle quattro vittorie, l’ottava si qualificherà automaticamente ai playoff. In caso contrario, le due squadre si affronteranno in una partita secca. Se vincerà l’ottava, andrà ai playoff, altrimenti ci sarà un rematch definitivo. La post-season manterrà invece il classico formato, con tre turni per ogni Conference e la serie finale, sempre al meglio delle sette partite. Sebbene sia stata approvata dai proprietari NBA e a breve incasserà anche l’ok dell’associazione giocatori, è chiaro che si tratti di una soluzione d’emergenza, che comporta dei pro e dei contro. Andiamo ad analizzarli, partendo dagli aspetti negativi.

Innanzitutto, le squadre non chiuderanno la regular season con lo stesso numero di partite, per cui le classifiche finali non saranno attendibili al cento per cento. Prima della sosta, ad esempio, i Dallas Mavericks avevano disputato 67 gare, mentre i Los Angeles Lakers 63. Rispetto a una stagione normale, ci saranno meno partite a disposizione per recuperare lo svantaggio accumulato, premiando giocoforza le squadre che si sono comportate meglio, o che hanno avuto il calendario meno impegnativo, fino a marzo. Un calendario che, con l’esclusione delle peggiori otto franchigie, diventa mediamente più difficile per tutte le altre.
A proposito delle escluse: questi team perdono l’opportunità di effettuare sul campo valutazioni e aggiustamenti in chiave futura . I Golden State Warriors non potranno testare la coesistenza fra uno Stephen Curry fresco di rientro e i tanti volti nuovi, tra i quali Andrew Wiggins, mentre gli Atlanta Hawks dovranno rimandare al 2020/21 l’inserimento del neoacquisto Clint Capela. Restando ad Atlanta, la chiusura anticipata della stagione si traduce nell’epilogo della gloriosa carriera NBA di Vince Carter, per la quale ci potevano essere senz’altro finali migliori.
Forse sarebbe stato meglio lasciare a casa anche Phoenix Suns e Washington Wizards, le cui speranze playoff sono pressoché nulle; al momento, sono rispettivamente a 6 e 5.5 vittorie dall’ottavo posto. Per gli Orlando Magic, titolari dell’ottavo piazzamento a Est, basterà evitare un tracollo completo per qualificarsi alla post-season senza spareggi. D’altronde, saranno gli unici a giocare ‘in casa’… Ecco, il fattore campo è forse il nodo più intricato da sciogliere. Tra le curiose alternative saltate fuori in questi giorni (dal challenge supplementare alla possibilità di stendere il proprio parquet nell’arena), nessuna è paragonabile al vantaggio dato nel giocare nel palazzetto di casa le partite più importanti.
Ciò premesso, per vedere i lati positivi di questa soluzione non bisogna essere per forza degli inguaribili ottimisti. Fermo restando che non era possibile accontentare tutti e che i danni economici del virus saranno ancora più evidenti tra qualche mese, Adam Silver e i suoi consiglieri hanno salvato il salvabile. Partire direttamente con i playoff avrebbe penalizzato eccessivamente le squadre ancora in corsa, che ora avranno almeno una possibilità di qualificarsi. Anche il posizionamento delle 16 contendenti sarà più meritocratico, con questo piccolo rush finale.
I giocatori arriveranno ai playoff riposati, come mai successo prima nella storia NBA, e utilizzeranno le otto partite preliminari per rimettersi in ritmo, evitando magari spiacevoli infortuni. A tal riguardo, alcune squadre potrebbero aver beneficiato della pausa per rimettersi in salute (sicuramente Portland, Philadelphia e Indiana, più difficilmente Brooklyn, che non dovrebbe rischiare Kevin Durant e Kyrie Irving). Avere i roster al completo nella fase decisiva della stagione è sempre un bene, per chi gioca e per chi guarda.
L’aspetto più importante, però, è che quanto fatto finora non andrà perduto. La lunga e meticolosa preparazione fisica, tecnica, tattica e manageriale delle franchigie tornerà ad avere uno scopo e la NBA incoronerà dei nuovi campioni. Parlare di un titolo “con l’asterisco” sarebbe ingiusto e fuorviante. Anzi, sollevare il Larry O’Brien Trophy dopo una stagione del genere, costellata da simili difficoltà, sarà un’impresa ancor più memorabile.
A prescindere dai pro e dai contro del nuovo formato, nel corso di questo complicatissimo 2019/20 la NBA ha dato una grande dimostrazione di flessibilità. Come già capitato in passato, ha saputo far fronte agli imprevisti con una spiccata propensione al cambiamento. Il modo in cui è stata affrontata l’emergenza COVID-19 ha notevolmente ampliato le opzioni per il futuro, accelerando il processo evolutivo di una lega in continuo mutamento e aprendo scenari finora inimmaginabili. A febbraio, l’idea di rivoluzionare l’All-Star Game in omaggio a Kobe Bryant aveva dato risultati di gran lunga superiori alle aspettative. Se questo ‘piano B’ per la chiusura della stagione dovesse funzionare, chissà che non vedremo qualcosa di simile anche nei prossimi anni, quando la crisi sarà passata. Per i primi giudizi serve ancora un po’ di pazienza: la NBA sta finalmente scaldando i motori!