“I giocatori possono dire quello che vogliono. Se LeBron James dice che si gioca, allora tutti noi giochiamo. Non è niente di personale, è solo business” (Patrick Beverley via twitter).
Il business dell’NBA frutta ben otto miliardi di dollari l’anno, tra merchandising, diritti televisivi, biglietti per le gare, ecc., un sistema, che se si fermasse definitivamente, perderebbe almeno due miliardi dei suoi profitti secondo Forbes – senza contare le ripercussioni sul futuro della lega negli anni a venire. Allo stesso modo delle tessere del domino, tutti gli enti e le imprese, che orbitano intorno al sistema della National Basketball Association, cadrebbero piano piano subendo delle perdite considerevoli.
I giocatori stessi si troverebbero a fronteggiare una situazione difficile. Parliamo di quella categoria il cui stipendio non prevede cifre da capogiro come le superstar, di coloro che devono ancora firmare il loro secondo contratto o di chi deve ancora mettere piede nella lega. Secondo Bobby Marks di ESPN, i salari potrebbero registrare perdite di oltre 1.2miliardi di dollari, con una riduzione del 35%, inoltre ciò porterebbe i proprietari delle franchigie a rinegoziare il contratto collettivo, esercitando la clausola di “forza maggiore”. Così il nuovo contratto sarebbe meno remunerativo rispetto al precedente, sia per via delle minori entrati, sia perché i giocatori stessi sarebbero la causa della chiusura della stagione.
“Ci sono tanti giocatori che conosco che hanno bisogno dei loro assegni. Il 99% della NBA non ha fatto i soldi che ha uno come Kyrie. Le conseguenze di non tornare in campo con i soldi delle tv, il contratto collettivo potrebbero davvero danneggiare la pallacanestro.” Le parole di Austin Rivers su Instagram, ma contro Irving, Ed Davis rincara la dose: “È facile per uno come Kyrie dire una cosa del genere, o per Dwight Howard dire che non abbiamo bisogno di giocare mentre è chiuso nella sua villa da 20mln di dollari ad Atlanta. Ma a questo punto ci sono miliardi di dollari in ballo che potrebbero essere utili alla comunità afroamericana, se ci tiriamo indietro questa perdita nuocerà alle generazioni future.”
IL PUNTO DI VISTA DI KYRIE
In questi giorni però la stella dei Nets, sostenuta da Avery Bradley, Dwight Howard, Carmelo Anthony, CJ McCollum, Donovan Mitchell e altri trenta giocatori NBA, ha espresso i suoi dubbi riguardo la ripresa del campionato. L’ex Duke crede fermamente che l’attuale regular season debba chiudere i battenti per rispetto del movimento “Black Lives Matter”, che ha dato vita alle proteste che continuano a infiammare l’America, dopo la morte di George Floyd. Ciò permetterebbe ai giocatori di impegnarsi ancora di più dal punto di vista sociale, per sostenere la loro comunità in prima persona. “Vogliamo combattere per i temi più importanti: non accetteremo più le ingiustizie razziali che continuano a essere ignorate nelle nostre comunità. Quando si tratta della nostra salute e del nostro benessere, non vogliamo più essere tenuti all’oscuro. E non ignoreremo tutte le componenti e le motivazioni finanziare che storicamente ci hanno impedito di prendere le giuste decisioni. Non si tratta di giocatori, atleti o gente del mondo dello spettacolo, si tratta di un gruppo formato da uomini e donne forti che si uniscono per il cambiamento.” Questo è il proclama con il quale la “coalizione” dei giocatori ha dichiarato le sue intenzioni attraverso ESPN, un messaggio forte e chiaro: alcuni di loro non vogliono giocare, la ripresa porterebbe la gente a distogliere l’attenzione da ciò che sta accadendo nel Paese.
Nel frattempo Adam Silver ha anticipato l’inizio della stagione dal 31 al 30 luglio, ma la “bolla” di Orlando potrebbe scoppiargli in faccia. Lo stesso commissioner ha ammesso che questa non è la situazione ideale per riprendere il campionato e i giocatori non si devono sentire costretti a prenderne parte. L’NBA è una lega le cui fondamenta poggiano sulle spalle di gente come Bill Russell, Kareem Abdul-Jabbar, Julius Erving, dei componenti della Texas Western College contro Kentucky, tutti loro non hanno mai smesso di giocare, tornare in campo è un’opportunità per i ragazzi, per le loro famiglie, per le loro comunità e per gli stessi giocatori.