Secondo RealGM, il primo giocatore nato in Cina a giocare in NBA è stato Tom Meschery nel 1961. Ed è formalmente vero, ma Tomislav Nikolayevich Meshcheryakov, come si può facilmente intuire dal suo nome, è tutto fuorché cinese: è nato ad Harbin, in Manciuria (peraltro all’epoca sotto controllo giapponese), questo si, ma da genitori Russi in fuga dal regime sovietico. La sua vita, degna di un film di Hollywood, è già stata trattata su queste pagine. Detto questo, per avere un vero cinese nel “campionato più bello del mondo” bisogna fare un salto in avanti di quasi 40 anni, fino a Wang Zhizhi, centrone non indimenticabile che ha calcato i parquet statunitensi per un lustro, dal 2000 al 2005, con 137 presenze (di cui una sola da starter) e numeri modeste tra Mavericks, Clippers e Heat. Un vero peccato, perché la NBA, sempre alla ricerca di mercati in cui espandersi, guardava con estremo interesse a quella montagna di esseri umani della Repubblica Popolare, potenziali appassionati (o clienti).
Possiamo dunque immaginare le bottiglie di champagne che si stappano nella stanza dei bottoni quando si comincia ad intravvedere un potenziale crack affacciarsi da oriente, un gigante di 229 centimetri che sembra anche un gran giocatore di basket. Yao Ming è figlio d’arte, dato che papà (Yao Zhiyuan) e mamma (Fang Fengdi) sono stati entrambi giocatori professionisti. La loro storia d’amore, però, è tutt’altro che materia da romanzo d’appendice, perché si tratta, né più, né meno, di un matrimonio combinato, esperimento organizzato dall’intransigente governo cinese per creare a tavolino un campione (fa molto Ivan Drago, in effetti). A 13 anni è già alto due metri e viene “trasferito” all’Istituto dello Sport, insieme a molti altri futuri fenomeni. Si adegua per spirito del dovere ai massacranti allenamenti che gli vengono imposti, anche se il basket nemmeno gli piace troppo, ma è bravo, bravissimo e fa sfracelli prima nella squadra giovanile degli Shanghai Sharks, poi anche tra i “grandi”, esordendo con 10 punti e 8 rimbalzi di media.
Purtroppo, già agli albori della carriera evidenzia quello che sarà il suo problema più grande, quello che ne accorcerà il chilometraggio: la propensione agli infortuni, con due fratture al piede prima ancora di finire la seconda stagione da professionista. Nonostante questo la crescita è costante e nel 2002, ventiduenne, chiude l’ esperienza in madrepatria con 32.9 punti, 19 rimbalzi e quasi 5 stoppate di media. Ovviamente da un biennio è già un giocatore della nazionale…la NBA non può ignorarlo (e non avrebbe un singolo motivo per non farlo) e ci si butta a pesce.
E’ la prima scelta annunciata al draft del 2002 (draft altrimenti assai povero) e i fortunati che riescono ad accaparrarselo sono gli Houston Rockets, in un periodo di magra dopo i fasti di metà anni ’90, quando il grande Hakeem Olajuwon aveva portato in Texas due titoli consecutivi. Nell’ultimo triennio i playoffs sono stati solo un miraggio per i ragazzi di coach Tomjanovich. Il 2001, poi, è stato anche funestato dalla sfortuna sotto forma di una serie di infortuni, motivo principale di un record deficitario, 28 vittorie e 58 sconfitte: Golden State, Memphis, Chicago e Denver hanno fatto peggio, ma la lotteria premia Houston che ringrazia e chiama Yao, come da previsioni. Il biglietto da visita con cui il giocatore si presenta alla NBA sono i mondiali di Indianapolis, dove mette a segno medie di 21 punti e 9.3 rimbalzi, venendo inserito nel primo quintetto della competizione.
A dire il vero, gli esordi non sono eccezionali: il ragazzo si deve ambientare, non solo in campo ma anche fuori, in un mondo totalmente diverso da quello che ha conosciuto finora. All’esordio, in 10 minuti prende due rimbalzi, perde due palloni e commette tre falli davanti al tutto esaurito dei tifosi che vogliono ammirare il nuovo fenomeno: non esattamente un successone. Tuttavia non ci mette molto ad ingranare: se nelle prime sette partite riesce a mettere solo 20 punti in totale, già a metà Novembre marca il suo primo ventello ai Lakers e la settimana dopo ne fa 30 ai Mavericks. Chiude l’anno a 13.5 di media con tanto di convocazione all’All-Star Game (i voti che arrivano a grappoli dai suoi connazionali in Cina hanno un peso decisivo). Il biennio successivo la crescita continua, prima la media punti diventa 17.5, poi 18.3, sembra l’inizio di una escalation della quale è difficile prevedere la fine, ma purtroppo, presto, cominciano anche a ricomparire i problemi fisici che sembravano solo un ricordo: nel 2005/2006 marca visita per 25 partite a causa di un’osteomielite al piede sinistro, che necessita di essere operato.
Nonostante questo partecipa comunque all’All-Star Game (come in tutte le stagioni in carriera) e, per la prima volta, conclude il campionato con almeno 20 punti e 10 rimbalzi di media (22,3 e 10,2). Le cifre continuano ad essere notevolissime, ma i risultati della squadra sono piuttosto poveri (anche per colpa di una Western Conference assai competitiva), questo nonostante l’arrivo di un altro pezzo da novanta come Tracy McGrady, anche lui purtroppo non esente da malanni assortiti. Gli stop, per Yao, si accumulano uno sull’altro: il 10 aprile del 2006 si rompe il dito di un piede, poi il 23 dicembre del 2006 “salta” il ginocchio nel tentativo di stoppare un tiro. E’ una disdetta doppia, perché sta giocando in maniera divina, a 26.8 punti, quasi 10 rimbalzi e 2.3 stoppate ad allacciata di scarpe, e le voci di una possibile candidatura ad MVP stagionale cominciano a farsi largo. Ovviamente i tre mesi di stop spengono ogni velleità in questo senso.
Dopo un triennio in cui è costretto a saltare quasi 90 partite, finalmente gioca una stagione quasi completa, nel 2008/09, quando i Rockets, dopo averne vinte 53 in regular season, arrivano vicini ad eliminare in semifinale di conference i Los Angeles Lakers, futuri campioni: ancora una volta la sfortuna ci mette lo zampino perché Houston, già priva da Febbraio di McGrady, perde proprio Yao dopo gara-3 (altra frattura al piede). E’ l’ultima goccia e, nonostante il ragazzo sia solo ventottenne, di fatto la sua carriera è finita: il 2009/10 passa senza che possa rimettere piede in campo e nel 2010/11, nonostante la decisione di tenerlo in campo per un massimo di 24 minuti a partita, si “rompe” nuovamente a Dicembre, senza più rientrare. E’ del 20 Luglio del 2011, esattamente 9 anni fa, il ritiro ufficiale di Yao Ming.
Per descriverlo valgano le parole di Shaquille O’Neal, un tipo non esattamente facile ai complimenti: “Era molto agile, poteva giocare nel pitturato, poteva giocare fuori e se non avesse avuto tutti quegli infortuni avrebbe potuto diventare uno dei migliori 5 centri di sempre“.
A conferma di queste parole, dopo soli 5 anni dal ritiro, nel 2016, è stato inserito nella Hall Of Fame, con lo stesso Shaq ed Allen Iverson. La sua maglia numero 11 è una delle sei ritirate dai Rockets, insieme alla 22 di Clyde Drexler, la 23 di Calvin Murphy, la 24 di Moses Malone, la 34 di Hakeem Olajuwon e la 45 di Rudy Tomjanovich.