Abbiamo solo sfamato il Drago. Quando uno è così caldo, non puoi non servirlo.
Queste le eloquenti parole di Victor Oladipo, il leader indiscusso di Indiana che, per una volta, si è accontentato di essere un normalissimo gregario.
Il merito è di T.J. Warren e della sua serata magica da 53 punti, nuovo carreer-high e record assoluto della “bolla” di Orlando. Una prestazione che è già entrata nella storia dei Pacers: dopo Reggie Miller (57 punti) e Jermaine O’Neal (55), T.J. occupa il terzo gradino nella speciale graduatoria delle migliori prestazioni della franchigia di Indianapolis.
A niente sono servite le attenzioni della difesa dei favoriti Sixers (anche se coach Brown ha stigmatizzato una marcatura un po’ troppo distratta dei suoi). Warren è stato inarrestabile, ha mostrato tutto il repertorio offensivo e trascinato i Pacers alla vittoria, segnando anche la tripla decisiva (la nona della serata) a 11″ dal termine.
Un exploit che ha portato il #1 della truppa di coach McMillan sotto i riflettori e gli ha permesso di togliersi qualche fastidioso sassolino.
Mi sono sempre sentito un ‘underdog’, un sottovalutato. Ormai ci sono abituato.
Una frase spesso abusata dagli atleti professionisti, ma stavolta non pare essere frutto di un ego smisurato.
T.J. si è sempre impegnato per essere notato, fin da quando era un ragazzino e seguiva gli insegnamenti di David West, All-Star che lo aveva preso sotto la sua ala protettrice.
L’ultimo anno a North Carolina State, Warren segnò ben 25 punti di media, stracciando le retine della ACC e meritandosi il premio di Miglior Giocatore di una delle Conference più competitive del panorama collegiale.
Al Draft del 2014 dovette aspettare la quattordicesima chiamata per sentire il suo nome. Davanti a lui furono scelti, tra gli altri, Nick Stauskas, Noah Vonleh ed Elfrid Payton, dei giocatori che ad oggi non hanno mai brillato nella NBA.
Come è possibile? Il motivo principale fu la mancanza di una dimensione perimetrale adeguata per il “piano di sopra” e di un repertorio offensivo atipico per un esterno. Al college Warren era un artista del midrange game, amava portare i difensori nei pressi del canestro e beffarli grazie a istinti offensivi di prim’ordine. Ma nella NBA avrebbe potuto continuare a scegliere quelle soluzioni contro avversari più prestanti fisicamente? Una domanda a cui molti risposero in maniera negativa.
Il classe ’96 di Durham è riuscito però a smentire quelle fosche previsioni. Dopo il normale dazio che ogni matricola paga al primo anno nella lega, già dalla seconda stagione T.J. ha iniziato la sua scalata: 11 punti di media (in 23 minuti) da “sophomore”, 14 (sempre in 23′) il terzo anno, e oltre 19 di media nel quarto (in 33′).
I Suns potevano ritenersi soddisfatti: avevano in casa un’arma offensiva efficace ed efficiente, a suo agio sia in quintetto che in uscita dalla panchina. Invece, la scorsa estate in Arizona hanno deciso di disfarsene senza troppi patemi.
Ben per i Pacers, che pagando solo una compensazione in denaro si sono portati a casa un giocatore maturo tecnicamente ma con ancora tanto potenziale da esplorare. Quest’anno T.J. sta segnando oltre 19 punti di media, con un incredibile 53% dal campo e un ottimo 40% da tre punti.
Proprio la percentuale dall’arco è la maggiore rivincita verso chi dubitava delle sue qualità. Grazie al duro lavoro in palestra, il tiro perimetrale è diventato maggiormente incisivo e continuo, andando a completare un repertorio offensivo davvero ricco.
In una squadra che può contare su Oladipo, Brogdon e Sabonis (attualmente ai box per problemi fisici), avere a disposizione un giocatore come un Warren è davvero un lusso e coach Nate McMillan non può che sperare in un finale di stagione, e in un futuro, pieno di soddisfazioni.