Mentre una realtà importante come la Virtus Roma si aggrappa all’ultimo tronco piegato nelle torbide acque cestistiche evitando così la discesa nella letale cascata, la Stella Azzurra cresce con nel panorama nazionale, pur mantenendo un’anima identitaria, straordinariamente raccontata e scritta sui social da Valerio Bianchini: “non posso non associare la Stella Azzurra ad un gruppo di uomini che con una maglia nera e una stella sul petto, rappresentarono qualcosa di unico nella storia del basket. L’origine del colore nero delle maglie era dovuto al fatto che Frate Mario Grottanelli, responsabile dell’educazione dei rampolli delle più importanti famiglie romane nel Collegio De Merode di Piazza di Spagna e ciò nonostante, completamente perso d’amor profano per il basket, aveva dato alla moglie dell’allenatore Altero Felici, la stoffa delle tonache dei preti per cucire le divise, raccomandandole di ravvivarle con una bella stella azzurra sul petto, che faceva riferimento alla Madonna, Stella Mattutina.” Nell’evoluzione della pallacanestro in senso moderno, la Stella Azzurra rappresentava quell’angolo rustico in mezzo alle metropoli, quell’istantanea ingiallita che non perde di fascino: “Spinetti, Chiaria, Marinozzi, Falcomer, Albanese, Galliano, Volpini erano uomini che lottavano in serie A ogni anno, rappresentando un collegio di religiosi, in un campionato dominato dalle squadre di grandi aziende nel pieno del boom economico degli anni sessanta. Piaccia o no il basket e l’industria nel nostro Paese sono cresciuti di pari passo. Il Basket del dopoguerra si chiamò Borletti, macchine da cucire, quando le nostre mamme erano tutte sartine e si cucivano i vestiti in casa. Poi si chiamò Simmenthal che era carne in scatola, perché finita la guerra gli italiani tornavano a mangiare carne, seppure conservata. A ergersi contro il Simmenthal fu Varese con l’Ignis di Borghi, perché ormai gli italiani avevano scoperto il frigorifero e potevano comprare carne fresca da conservare al freddo. Più avanti gli italiani scoprirono il televisore e fu la volta della Virtus Bologna, col marchio Sinudyne. In questo festoso sposalizio tra basket e industria, si fecero largo con la forza della loro classe, del loro entusiasmo e…dei loro allenatori, due realtà antitetiche all’industria, due squadre cresciute sotto le volte austere dei chiostri settecenteschi, tra il frusciare delle tonache, l’odore dell’incenso e le grida dei ragazzi in palestra, cui era toccata questa speciale Grazia chiamata Pallacanestro. La Stella Azzurra (Fratelli delle Scuole Cristiane) guidata da Tonino Costanzo e il Petrarca di Padova (Gesuiti), che fu allenata dall’immenso Nikolic. Questi collegi, come le grandi università americane, allevavano ragazzi che diventavano ottimi giocatori di serie A ed eccellenti medici, avvocati, ingegneri e affermati professionisti.” Uno spaccato che rinverdisce quello che è l’aspetto più intrigante della pallacanestro italiano, cioè l’esaltazione della “provincia” e di realtà come la Stella Azzurra che sono riconoscibili in un macro-cosmo omologato.
Raffaele Baldini