La nostra difesa ha fatto un paio di passi in avanti. Sapevamo che sarebbe stata la chiave.
Mike D’Antoni aveva commentato così il secondo tempo difensivo della sua squadra in gara-2 contro gli Oklahoma City Thunder. I Rockets, ancora privi di Russell Westbrook, dopo aver concesso 59 punti nei primi due quarti, ne avevano poi subiti appena 39 nei due finali.
La difesa, spesso criticata nei sistemi dell’ex coach dei Knicks, ha vinto quella partita per i Rockets. E anche in gara-3, nonostante la sconfitta, si sono continuati a vedere i principi del nuovo sistema di Houston. Così, al momento, quella dei Rockets è la quinta difesa della postseason per defensive rating (punti subiti su 100 possessi). In sole tre partite, è vero, ma la strada sembra essere quella giusta.
Gli “steps up” citati da D’Antoni sono quindi arrivati. Senza un centro, sia di nome che di stazza, Houston ha improntato la sua difesa sui cambi e su una grande dinamicità. Se però fino allo scorso anno la fase offensiva sembrava spesso condizionare quella difensiva, che risentiva di eventuali blackout al tiro, in questo inizio di playoffs è invece quest’ultima ad essere il motore dell’attacco.
Nonostante comunque vada sotto a rimbalzo (148-123 per OKC il totale delle prime tre), la rapidità orizzontale ha permesso loro avere molti palloni recuperati capitalizzati con punti in contropiede. Tiri al ferro e da dietro l’arco (quasi 53 presi di media a partita): è esattamente quello che vuole la squadra texana.
Il risultato sono state due vittorie e una sconfitta, con un Oklahoma frustrata dal non riuscire a trovare contromosse. Ciò è emerso soprattutto in gara-2, dove tra l’altro Chris Paul è stato limitato ad appena 2 assist in 36 minuti giocati. Anche lo stesso Harden, spesso additato di impegnarsi più in una sola delle due metà campo, è stato decisivo, soprattutto nei duelli in post con Gallinari. Se nella prima uscita l’italiano ne aveva messi 29 punti con più del 50% al tiro, nel terzo atto della serie la sua percentuale è scesa al 33%. Non tutto merito del barba certo, ma il vero cambiamento dei Rockets deve passare anche dal suo leader.
“Se i miei tiri non entrano, devo trovare un altro modo per avere impatto sulla partita“, ha detto l’MVP del 2018.
Appena tre partite sono un campione troppo ristretto per trarne delle conclusioni a lungo termine, ma i numeri fanno dei Rockets una delle squadre più temibili nel campus di Orlando. E quando rientrerà Westbrook lo saranno ancora di più. Se dovessero riuscire a passare il turno si troverebbero presumibilmente di fronte ai Lakers di Lebron, Davis, McGee e Howard, i loro opposti in termine di altezza. E quella sarebbe la vera prova per il barba e compagni.
Nella H-Town stanno dimostrando che il loro “small ball” può produrre tanto sia in attacco che, fino ad ora, in difesa. Se riusciranno o meno a reggere l’urto anche con squadre più quotate sarà la differenza tra l’avere, a fine anno, un trofeo da sollevare invece dei soliti, troppi, rimpianti.