Mentre Orlando è scossa dalla protesta dei giocatori NBA per i fatti di Kenosha – dove la Polizia ha sparato sette colpi di pistola a Jacob Blake -, mettendo a serio rischio il proseguo dei Playoffs, proviamo a parlare di basket e torniamo a dedicare la nostra attenzione al rendimento delle matricole appartenenti alla Classe 2019/2020.
Rookie of the Year
Malgrado Zion Williamson abbia provato in tutti i modi a rimettere tutto in discussione, non ci sono dubbi su chi sia il vincitore del premio riservato alla miglior matricola della NBA. JaMorant ha sbaragliato il campo con una stagione che lo ha visto segnare quasi 18 punti e distribuire 7 assist di media. Le scorribande in campo aperto, le escursioni a canestro e le invenzioni per i compagni sono la punta dell’iceberg di un giocatore che è risultato molto più solido e continuo di quanto ci si aspettasse a inizio stagione. Aveva subito un leggero calo prima del Lock Down, ma tutti gli osservatori sono concordi sul fatto che Ja sarà uno dei giocatori più determinanti – oltreché più divertenti – della NBA negli anni a venire.
La sorpresa
I candidati sono molti e agguerriti – Brandon Clarke, Eric Paschall su tutti -, ma anche in questo caso un nome si separa dagli altri: Kendrick Nunn. La guardia di Miami ha colto davvero tutti di sorpresa, anche gli stessi Heat che non si aspettavano certo un impatto così decisivo dall’ex scarto di Golden State. Per lunghi tratti della stagione ha “ventelleggiato” prima che il rientro dei titolari lo riportassero al ruolo più congeniale di gregario di lusso. La fisicità, l’esuberanza offensiva, il coraggio e la capacità di coprire i due ruoli del “back court” lo rendono un elemento imprescindibile per Coach Spoelstra.
La partita
Non si puo’ non scegliere lo “showdown” tra Morant e Zion. Il 31 gennaio è andata in scena la prima e, per adesso, unica sfida tra le due matricole più attese del Draft 2019. Zion ha vinto il confronto con Morant ben oltre il confronto numerico (24 punti a 16), coadiuvato al meglio dalla serata di grazia dei compagni di squadra, capaci di impostare da subito un ritmo ideale all’ex ala di Duke. L’infortunio di Williamson ci ha privato delle altre sfide, ma siamo sicuri che la loro sarà una rivalità che segnerà la NBA dei prossimi dieci anni.
La delusione
Se Morant e Zion hanno confermato la loro selezione alle prime due posizioni, non possiamo dire la stessa cosa per R.J. Barrett. Partito benissimo (21 punti contro Spurs, 26 contro i Celtics, 19 e 15 rimbalzi contro Chicago), l’ex Duke ha faticato a soddisfare le aspettative dopo la terza chiamata assoluta. Certo, i Knicks di quest’anno non erano proprio la squadra ideale per emergere, ma le percentuali al tiro e le troppe palle perse hanno sollevato più di un mugugno al Madison. Con Thibodeau in panchina e un rinforzo in regia, R.J. è atteso a un secondo anno di ben altro spessore.
Il Trend
Quello dello scorso anno è stato un Draft molto particolare. Se togliamo Morant e Williamson, i rookies più convincenti non sono stati scelti nelle posizioni nobili del Draft. I vari P.J. Washington, Tyler Herro, Brandon Clarke, Matisse Tybulle, per non parlare di Eric Paschall e Terence Davis, hanno surclassato R.J. Barrett, DeAndre Hunter, Jarrett Culver, Darius Garland in termini di produttività e impatto. Sarà molto interessante verificare la voglia di rivincita di questi ultimi nella prossima stagione.
Vediamo adesso i nostri quintetti…
Primo Quintetto
Ja Morant (Memphis Grizzlies): il Rookie dell’Anno che anche nel “Play-in” contro Portland e Lillard non ha affatto sfigurato.
Kendrick Nunn (Miami Heat): la sorpresa dell’anno, “undrafted” molto strumentale alla splendida annata di Miami.
Eric Paschall (Golden State Warriors): forse aiutato dalla debacle dei Warriors, ma con le sue qualità potrà ritagliarsi spazio anche nei prossimi anni accanto a Curry, Thompson e Green.
Zion Williamson (New Orleans Pelicans): purtroppo I guai fisici ci hanno impedito di gustarci pienamente l’enorme talento di Zion, ma avremo tanti anni per divertirci.
Brandon Clarke (Memphis Grizzlies): altra sorpresa tra le matricole, a Memphis ha trovato la squadra ideale per dedicarsi ciò che sa fare meglio: saltare, correre, schiacciare e stoppare.
Secondo Quintetto
Coby White (Chicago Bulls): partito molto lentamente, era esploso nei mesi precedenti al “Lock Down” viaggiando a oltre 20 punti di media con ottime percentuali. Non un playmaker, ma a Chicago hanno trovato un giocatore.
Tyler Herro (Miami Heat): molto più di un semplice tiratore, Tyler era stato già convincente in stagione, ma ai Playoffs si sta confermando come uno dei perni del futuro degli Heat.
Michael Porter Jr. (Denver Nuggets): anche prima della “Bolla” di Orlando aveva fatto intravedere il suo talento, ma a Orlando è letteralmente esploso.
Rui Hachimura (Washington Wizards): nella Capitale possono essere felici di quanto mostrato dal nipponico, soprattutto per i miglioramenti nel gioco lontano dal canestro.
P.J. Washington (Charlotte Hornets): dopo il clamoroso esordio (27 punti con ben 7 triple),P.J. si è assestato sui 12 punti a partita, confermando quella versatilità offensiva necessaria per emergere nella NBA moderna.
Silent Five (ovvero tanto positivi quanto poco pubblicizzati)
Terence Davis (Toronto Raptors): fisico, continuo ed efficace, la stagione dei Raptors passa anche dal rendimento di quest’altro “undrafted” che si sta prendendo tante belle rivincite.
Luguentz Dort (Oklahoma City Thunder): altro fisicaccio, ha conquistato il quintetto con tanta difesa e tantissima energia. Non a caso, le due vittorie dei Thunder ai Playoffs sono coincise con il suo rientro.
Matisse Thybulle (Philadelphia 76ers): eccellente difensore, più nascosto in attacco anche se ha mostrato un discreto tiro dalla distanza. Si è un po’ perso nell’abulica seconda parte di stagione dei Sixers.
Cameron Johnson (Phoenix Suns): forse scelto un po’ troppo presto al Draft, Cam è comunque un ottimo tiratore che si è sempre fatto trovare pronto sugli scarichi di Devin Booker e Ricky Rubio.
Grant Williams (Boston Celtics): poco più di 3 punti e 2 rimbalzi di media con il 40% dal campo, eppure Brad Stevens non rinuncerebbe mai alla sua intelligenza cestistica. Poco appariscente ma utilissimo.