I campioni in carica Toronto Raptors non erano certo considerati tra i favoriti al titolo all’inizio della campagna 2019/20. Orfani del loro MVP Kawhi Leonard, che ha lasciato il freddo del Canada per lidi migliori sulla costa ovest, nessuno si aspettava che avessero una possibilità di ripetersi, ma hanno scioccato l’intera NBA finendo la stagione con il secondo miglior record della lega e la seconda posizione a Est.
Se certamente Leonard non ha vinto il titolo NBA da solo, ma circondato da un supporting cast dalla grinta ineguagliata e un cuore enorme, non era realistico aspettarsi che quello stesso gruppo di “aiutanti”, con qualche minore aggiunta, potesse evolvere in un solidissimo e compatto nucleo in grado di dare battaglie ogni notte a qualunque squadra della NBA, dalle perenni residenti sul fondo della classifica alle temibili corazzate favorite al titolo.
L’architetto dietro a tutto questo è ormai ben noto: quel Masai Ujiri che recentemente ha visto finalmente fare luce (e si spera presto giustizia) sugli inaccettabili eventi occorsi lo scorso anno al Chase Center durante la celebrazione per la vittoria del titolo.
La rivoluzione a Toronto è cominciata probabilmente nell’estate del 2018, quando Masai prese la (al tempo) dubbia e impopolare decisione di licenziare il fresco vincitore dei riconoscimenti di Coach of the Year assegnati dalla NBA e dalla NBCA (l’associazione allenatori) Dwayne Casey. I Raptors erano una squadra che da un lato aveva raggiunto il suo massimale nella regular season, ma dall’altro continuava ad andare corta nei playoff, venendo sistematicamente eliminata dai Cleveland Cavaliers di LeBron James. Un cambiamento si faceva a questo punto necessario e Ujiri sapeva che il roster non sarebbe probabilmente mai potuto essere migliore di così.
A rimpiazzare Casey fu promosso l’assistant coach Nick Nurse, allenatore dall’inusuale percorso formativo che lo aveva visto lavorare tra college americani, Europa, USBL e, infine, D-League, vincendo due titoli. Forte della sua variegata esperienza, era stato l’architetto del miglioramento offensivo dei Raptors negli ultimi anni.
L’imprinting per un’inusuale percorso era stato dato da quella promozione.
L’altra mossa azzardata di Ujiri fu quella di sacrificare la storica star DeMar DeRozan per un noleggio annuale dello scontento Spur Kawhi Leonard.
Inutile rimarcare come entrambe le mosse abbiano pagato, portando a Toronto il primo titolo della sua storia. In ogni caso, non è di questo che vogliamo parlare.
Una volta che la prevedibile partenza di Leonard si è consumata, Ujiri non ha tentato di rimpiazzarlo aggiungendo un nome di grande risonanza alla squadra, ma si è piuttosto preoccupato di dare una insolitamente breve estensione al leader della squadra Kyle Lowry, in modo da mantenere la flessibilità in vista di future e più appetitose free agency e fiducioso nella crescita dei suoi giovani giocatori. Fiducioso sì, ma probabilmente neanche lui si aspettava questi risultati.
Quello che finora veniva considerato inconcepibile, vincere senza superstar, si sta ora realizzando. Certo, Pascal Siakam ha fatto un altro enorme salto dallo scorso anno, ed è stato convocato all’All-Star Game. Kyle Lowry è ormai una perenne All-Star e Marc Gasol ha avuto a sua volta dei trascorsi nella partita delle stelle, ma nessuno di loro ha mai goduto, o non gode ancora, dello status di superstar, soprattutto in una fase ormai tarda o troppo giovane della loro carriera.
Non solo la mancanza di una superstar. Ciò che rende questa squadra ancora più incredibile è il modo in cui è stata assemblata, il percorso di ogni singolo membro di questa vera e propria armata Brancaleone per giungere nei ranghi della guardia canadese. Ujiri e il suo staff sono stati abbastanza fantasiosi e lungimiranti da scandagliare e pescare saggiamente dall’ampio bacino di talenti scartati dalle altre franchigie. Giocatori in cui i Raptors hanno riconosciuto delle qualità che hanno saputo valorizzare al meglio perché divenissero validi contributori.
In primis le due ali titolari, Pascal Siakam e OG Anunoby: i due giocatori africani sono stati selezionati dalla squadra canadese alla fine del primo giro in due draft consecutivi (2016 e 2017). In maniera simile, Norman Powell venne draftato a metà del secondo turno del draft 2015 dai Milwaukee Bucks e successivamente scambiato ai Raptors, con i quali fu inserito nell’All-NBA Summer League First Team e, con il passare degli anni, è riuscito a scavarsi un ruolo nelle rotazioni.
Fred VanVleet rimase non draftato nel 2016, e dopo aver partecipato alla Summer League nella squadra di Toronto si fece strada nel seguente training camp, conquistando il quindicesimo posto del roster.
Perfino l’indiscusso leader della squadra, Kyle Lowry, arrivò in Canada imballato in un pacco con su scritto “materiale danneggiato”. Nonostante la buona produzione a Houston, i Rockets decisero di sbarazzarsi di lui a causa dei suoi dissapori con l’allora head coach Kevin McHale e la volontà di alleggerire il proprio salary cap in combinazione all’emersione del giovane Goran Dragic. Lowry si era costruito la reputazione di figura difficile, con problemi di insubordinazione e di gestione del peso, da cui molte squadre preferiscono stare alla larga. Scambiato per un sacco di noccioline, a Toronto, sfidato da Ujiri, ha completamente ribaltato la sua nomea, trasformandosi in un affidabile leader dalla fama del duro lavoratore.
Nel 2017 per Serge Ibaka non c’era un ruolo in una giovane Orlando senza aspirazioni riguardo i playoff. Troppo costoso per un simile impiego, anche la sua via per il nord arrivò sotto forma di scambio. I Raptors hanno trovato in lui una solida presenza sul campo e uno dei giocatori più affidabili per Nurse, tanto in attacco quanto in difesa. Nonché una forte presenza nello spogliatoio. Dopo un così felice matrimonio, ha anche ricevuto l’irrinunciabile offerta da oltre $60 milioni in tre anni, cementando la sua permanenza in Canada.
Stessa situazione due anni dopo per Marc Gasol, troppo anziano per dei Memphis Grizzlies che avevano premuto il tasto di reset cominciando una ricostruzione, e con un contratto che non tutti si sarebbero voluti accollare. Alla deadline Toronto ha messo in piedi uno scambio per dare immediato supporto a quella squadra che sapeva di operare in una finestra di tempo ristrettissima. Masai era consapevole di dover andare “all in” con quell’unica e irripetibile speranza per il titolo, e non ha avuto paura di osare.
Non draftato nel 2017, dopo un’esplosiva Summer League coi Los Angeles Lakers conclusa con un fantastico 5 su 5 da tre nella partita per il titolo, Matt Thomas decise di cercare fortuna in Europa invece di firmare un two-way contract in NBA. Alla luce della produttiva esperienza in Spagna, la scorsa estate Ujiri ha deciso di offrirgli un regolare contratto.
Per quanto riguarda gli altri, Stanley Johnson, Rondae Hollis-Jefferson, Chris Boucher, Patrick McCaw, si tratta di giocatori che avevano mostrato qualcosa di buono nella loro breve carriera, ma erano stati tagliati dalle rispettive squadre. Il presidente dei Raptors ha riconosciuto in loro del valore e ha dato a tutti una possibilità.
E poi c’è l’uomo dall’infinita fiducia in sé stesso. Il giocatore che ha scommesso tutto su di sé e le proprie capacità: Terence Davis. Conscio di non venire scelto al primo giro del draft 2019, ha rifiutato di essere draftato al secondo turno dalle squadre che avevano mostrato interesse proponendogli un two-way contract. Il giovane del Mississipi contava di ricevere un’offerta per la Summer League e giocare così bene da arrivare ad un contratto garantito. Dopo una sola partita con la squadra dei Denver Nuggets, Toronto si è fatta avanti con un biennale dal primo anno garantito. Al momento Davis è uno dei migliori rookie della sua classe e non ci sono dubbi che anche il secondo anno sul suo contratto verrà garantito. Chissà, forse riceverà anche un’estensione.
Non c’è storia più appropriata per un membro di questo gruppo.
Una squadra di individui che sanno cosa vuol dire ricevere una porta in faccia, non essere considerati “abbastanza” e lavorare sodo per ottenere ciò che si merita. Ognuno di loro ha dato il suo contributo a un certo punto della stagione per arrivare dove si trovano adesso.
I Raptors incarnano l’utopia di una squadra senza nettissime gerarchie di talento, capace di arrivare a vincere il titolo con un vero sforzo collettivo.
Ujiri non è nuovo a questo approccio. Già anni fa aveva tentato di costruire dei nuovi Denver Nuggets secondo questo pattern, ma l’approccio era stato quello di collezionare un top-10 player per ogni ruolo e una panchina da top-10. Questa volta si tratta di una sfida ancora più grande: mettere insieme una contender di reietti, coloro che le altre squadre hanno scartato non ritenendoli sufficientemente capaci di contribuire alla causa NBA.
Questi Toronto Raptors continuano a sfidare le probabilità, recuperando una serie che pareva spacciata con i Boston Celtics sul 2-0. E invece eccoli là, lottando fino alla fine sono riusciti a strappare una gara-7. Comunque vada a finire, 12 mesi fa non ci aspettavamo certo di vederli ancora in gioco a questo punto della postseason, e con queste probabilità di arrivare un’altra volta in finale.