Manca meno di un minuto alla sirena finale della tesissima Gara 7 tra Boston e Toronto.
Norman Powell riceve il passaggio di Pascal Siakam, parte in palleggio e s’invola in contropiede; si avvicina velocemente all’area, seminando gli avversari. Nella sua testa c’è solo il canestro, con il quale i Raptors potrebbero pareggiare e mettere ancora più pressione sui giovani Celtics.
Tra la guardia di Toronto e l’ 89 pari c’è solo un avversario, per di più in apparente difficoltà visto che è posizionato malissimo per arginarlo. Infatti, lo supera senza particolari patemi. Sulla panchina dei “dinosauri” sono tutti pronti per festeggiare i due punti.
Powell è vicinissimo al ferro, salta per il più facile dei layup.
Sbam!!!
La palla rimbalza con violenza sul tabellone e torna verso la metà campo. Nessun canestro per Powell e Toronto.
Quel giocatore, in apparente difficoltà, si è materializzato all’improvviso e ha evitato un canestro già fatto con una maestosa stoppata. Quel giocatore è Marcus Smart, autore di una delle azioni più entusiasmanti e decisive della stagione. Una “chase down” che ogni appassionato di basket – non necessariamente simpatizzante del trifoglio- ricorderà a lungo.
Un’azione, solo una delle tante che ogni sera regala ai suoi Celtics, ma la più emblematica di questo magistrale interprete dell’arte difensiva.
Ormai Smart appartiene al Gotha della NBA quando si parla di difesa. Da due anni il suo nome figura nel Primo Quintetto dei migliori difensori della NBA, e quest’anno è l’unico giocatore sotto i due metri a potersi fregiare di questo riconoscimento.
A Boston non sono sorpresi, sono anni che i tifosi dei Celtics si esaltano per le sue imprese difensive. Il TD Garden ruggisce a ogni palla rubata, sfondamento, rimbalzo, tuffo che ha come protagonista il loro amato numero 36.
Un giocatore rispettato dagli addetti ai lavori per l’estrema efficacia, ma allo stesso tempo poco simpatico agli avversari per come utilizza anche l’aspetto mentale per andare loro “sottopelle”.
Può testimoniarlo James Harden, letteralmente impazzito nel finale di un infuocato Celtics – Rockets di qualche anno fa. Oppure Kyle Lowry, che non ha neanche tentato (tentato, non segnato) una conclusione quando Brad Stevens ha deciso di assegnare la sua marcatura a Marcus nella decisiva Gara 5.
Ma Smart non è solo intensità, energia e “hustle plays”, è molto di più. Negli anni ha lavorato duramente sui difetti e adesso – grazie a un eccellente ball handling e una sapiente regia – rappresenta il playmaker ideale per la squadra che vede Kemba Walker, Jayson Tatum e Jaylen Brown come terminali offensivi. Per non parlare dei miglioramenti nel tiro dalla distanza: se il 35% da tre di quest’anno (su oltre sei tentativi) non lo avvicina certamente a Steph Curry, confrontandolo al 31% in carriera assume ben altro peso. Se i numeri non vi convincono, potete chiedere ai Raptors, affossati da 5 triple nel quarto periodo di Gara 2.
Si, perché con Smart è impossibile – per non dire riduttivo – fermarsi alle fredde statistiche, l’impatto che ha sui compagni e gli avversari trascende le canoniche misurazioni.
Lo sanno fin troppo bene Brad Stevens e Danny Ainge che ne hanno tessuto le lodi più volte in questi anni, definendolo, rispettivamente, “un giocatore a cui interessa solo vincere” e “l’anima e il cuore della squadra”.
Vincere. Questo l’obiettivo di Marcus, riportare Boston a quel Titolo che manca ormai da troppo tempo.