John Calipari è estatico, ha appena convinto un giovane del North Carolina a scegliere la sua Kentucky. Con lui al centro dell’area, “Coach Cal” pensa di aver trovato la tessera mancante per il Titolo NCAA del 2017.
Non è difficile capire tanto entusiasmo, Edrice (si chiama così, il nostro protagonista) è una montagna di 120 chilogrammi che al liceo ha spazzato via tutti quelli che si sono intromessi tra lui e il canestro. Non a caso, il suo soprannome è un onomatopeico “Bam”, che ricorda il trae il bimbo distruttore dei Flintsones, ma è dovuto al suono del ferro percosso violentemente dalle sue affondate.
Un centro vecchio stile, “alla Shaq” per intenderci, stanziale e amante delle battaglie fisiche nell’area pitturata, che sfrutta al massimo l’atletismo e la forza primigenia per uscirne vincitore.
Lasciamo il campus di Lexington e facciamo un deciso passo in avanti fino ai giorni nostri.
Se una persona avesse dormito per tre anni, dal quel 2017 al 2020, farebbe davvero molto fatica a riconoscere quel giocatore in Bam Adebayo, l’attuale stella di Miami.
L’atletismo e la forza non sono scomparsi, certamente Bam ha smaltito qualche chilo di troppo ma la trasformazione è più tecnica che fisica. In ossequio alla nuova NBA, nella quale i centri sono marginali, a maggior ragione quelli stanziali, Adebayo ha lavorato tantissimo per ampliare il suo raggio d’azione, andando a esplorare delle qualità che fino ad allora nessuno gli aveva permesso di esprimere.
La schiena non è più rivolta verso il canestro, adesso Bam preferisce attaccare guardandolo il ferro, anche da molto lontano. Quei piedi reattivi che gli permettevano rapidi movimenti in post-basso, ora gli conferiscono una strabiliante leggiadria quando cambia direzione in palleggio e disorienta gli avversari. Non è raro, addirittura, vederlo condurre la transizione della squadra e fungere da creatore di gioco per i compagni.
Se Jimmy Butler rappresenta il “closer” di Miami, l’uomo chiave della squadra di coach Spoelstra è proprio Bam, sempre più a suo agio nel ruolo di facilitatore in attacco (miglior assistman della squadra ai Playoffs con 4,5 a partita), ed efficacissimo anche nella sua metà campo per come riesce a difendere su varie tipologie di avversari e proteggere il canestro (vero Jayson Tatum?).
Un giocatore nuovo, ecclettico e versatile, ormai parte dell’elite della NBA, come testimonia la convocazione all’ultimo All Star Game di Chicago.