Nell’ultimo periodo abbiamo sentito tanto parlare di accordi, riunioni, salari, questionari, incontri, riduzioni, aumenti, CBA, BRI, e chi più ne ha più ne metta. Le protagoniste di tutto ciò sono due associazioni: la NBA e la NBPA. Per chi non lo sapesse, l’NBPA – acronimo della National Basketball Player Association – si occupa di tutti i giocatori che fanno parte della lega. È un’unione o, in parole povere, un “sindacato” che difende i diritti dei suoi associati, da LeBron James al (non me ne voglia) quindicesimo panchinaro degli Charlotte Hornets.

In quest’ultimo anno questa sigla è stata spesso sulla bocca di insider, giornalisti, giocatori e appassionati. La crisi sanitaria che ha portato alla sospensione del campionato, lo sviluppo della bolla e la ripresa delle attività in quel di Orlando, sono state frutto di un intenso dialogo tra NBA, NBPA e l’unione dei proprietari. Oltre a tutto questo, di fronte ai disordini sociali dovuti agli episodi di violenza da parte della polizia nei confronti degli afroamericani, l’NBPA ha organizzato delle campagne di sensibilizzazione e sostenuto attivamente i suoi assistiti: basti pensare al “boicottaggio” di alcune partite durante i playoff. I giocatori, guidati dal presidente dell’associazione Chris Paul, hanno fatto sentire la loro voce facendola arrivare fino a Silver, il quale, insieme alla direttrice esecutiva Michele Roberts, ha fornito tutto l’aiuto possibile.
Un’associazione che negli ultimi giorni, dopo aver dato il via libera all’inizio della prossima stagione al ridosso del Natale, si è trovata di fronte al “problema” dell’aggiornamento del contratto collettivo. Tuttavia, dopo diversi confronti, NBA e NBPA sono giunti a dei compromessi che possono ritenere soddisfatte entrambe le parti.
Il rapporto tra la lega e l’associazione dei giocatori sembra essere da diverso tempo tutto rose e fiori, ma non è sempre stato così. David Stern prima e Adam Silver poi hanno infatti costruito un legame solido e affidabile, ma in passato gli scontri sono stati aspri e pesanti, con i proprietari che hanno utilizzato il lockout (l’ultimo nel 2011) come forma di ricatto nei confronti dei giocatori. Torniamo quindi indietro nel tempo e vediamo come nasce il sindacato NBA.
BOB COUSY E GLI ALBORI DELL’NBPA
Negli anni ’50 giocatori come Bill Russell, Bob Pettit e Bob Cousy guadagnavano tra i 20 e i 30 mila dollari l’anno giocando a basket – parliamo delle stelle della lega dell’epoca; in seguito, con l’arrivo di Chamberlain, lo stipendio annuale toccò quota 100mila – e diversi giocatori erano costretti a lavorare d’estate per poter arrotondare uno stipendio medio da 8000 dollari l’anno. A ciò si aggiungevano le condizioni assistenziali inesistenti per i giocatori, costretti a farsi carico di tutte le spese “extra”: spostamenti, pasti e assicurazioni sanitarie. Proprio per questo motivo il playmaker dei Celtics nel 1954 ebbe l’idea di creare un’unione tra i giocatori che potesse contrastare lo strapotere di Maurice Podoloff (il primo presidente della NBA). La prima discussione avvenne durante l’All-Star Game del 1955, dove Cousy sottopose all’attenzione dell’allora Commisioner diverse questioni: il rimborso degli stipendi agli ex giocatori dei Baltimore Bullets, un massimo di 20 partite di esibizione all’anno con i proventi distribuiti tra i giocatori, la nascita di un arbitrato imparziale per regolare le dispute tra giocatori e proprietari, tra le altre. Podoloff acconsentì a pagare gli stipendi degli ex Baltimore Bullets, con la promessa di continuare le contrattazioni dopo due settimane. Tutto ciò però non avvenne e l’NBPA non venne riconosciuta come associazione sindacale dal consiglio di amministrazione.
L’anno della svolta è il 1957. Cousy, dopo essersi alleato con uno dei più importanti sindacati del Paese, raggiunse dei risultati importanti, tra tutti la nascita di un canale di comunicazione tra le lega e i suoi giocatori per la risoluzione delle controversie. Successivamente, il giocatore dei Celtics lasciò il timone a Tom Heinsohn (scomparso due giorni fa) e Larry Fleisher, che nel 1962 divenne il legale di riferimento dell’associazione, aiutandola a raggiungere degli obbiettivi importanti.
IL GELO DEL 1964
Il 14 gennaio del 1964 Boston veniva colpita da una tempesta di ghiaccio e neve. Lo stesso giorno i biancoverdi ospitavano l’All-Star Game. Nonostante le condizioni climatiche proibitive, la lega premeva perché la partita si giocasse, dopotutto non era un ASG qualunque: la gara sarebbe stata infatti trasmessa per la prima volta nella storia da una tv nazionale, l’ABC.
Il rapporto tra NBPA e NBA era gelido come le strade della metropoli. Walter Kennedy (Commissioner dell’epoca – successore di Podoloff) rimandò gli incontri tra giocatori e proprietari diverse volte, infischiandosene delle richieste dei primi. L’associazione chiedeva l’istituzione di un piano pensionistico e il miglioramento di altre condizioni per i giocatori, ma Kennedy non era della stessa idea: così poco prima della palla a due il Commissioner rifiutò nuovamente la richiesta di Heinsohn di formare un tavolo di trattative che includesse anche i proprietari. A quel punto il gruppo formato da Bob Pettit, Bill Russell, Lenny Wilkens, Fleisher e il presidente NBPA dichiarò lo sciopero. Dopo una votazione a cui presero parte tutti gli All Star di quella sera, il gruppo decise che non sarebbe sceso in campo se Kennedy non fosse venuto incontro alle loro richieste, boicottando così la messa in onda della gara.
(Dal minuto 41:45 Bill Russell parla dello sciopero all’ASG del 1964)
Kennedy arrivò al palazzetto e si trovò di fronte a una situazione catastrofica: i giocatori erano riuniti in un unico spogliatoio e non avevano alcuna intenzione di calcare il parquet fino a quando le loro richieste non sarebbero state accettate. A quel punto il Commissioner, messo alle strette, dopo aver contattato i diversi proprietari promise a Heinsohn e tutti coloro che erano in quello spogliatoio che le loro richieste sarebbero state accolte. Così fu: nel 1965 vide la luce il piano pensionistico dei giocatori NBA e da quel momento venne ufficialmente riconosciuta la NBPA.
Da allora la lega e l’NBPA hanno lavorato fianco a fianco per oltre 50 anni, l’una al sostegno dell’altra, con poche occasioni di contrasti e molti momenti di condivisione: di visioni, di idee, di ideali. Come il 25 agosto, quando i Milwaukee Bucks hanno deciso di non giocare gara-5 contro gli Orlando Magic con il sostegno di Adam Silver e la lega intera, dimostrando come lo sport possa essere una delle armi più efficaci per affrontare i problemi sociali.