Tutta la gioia del ct Meo Sacchetti dopo lo storico successo a Belgrado e il ritorno alle Olimpiadi dopo 17 anni.
Intervistato da Vincenzo Di Schiavi per La Gazzetta dello Sport, un estratto delle sue dichiarazioni.
Cosa ci insegna questa impresa? “Ha due facce. Una positiva, l’altra un po’ meno. Lontano dall’Italia i nostri diventano giocatori migliori e maturano più in fretta. Sono stranieri, devono guadagnarsi tutto, ma hanno pure club e coach che credono subito in loro. In Italia a volte sono troppo protetti, coccolati. I discorsi del tipo “gioco fuori ruolo”, “non mi passano la palla”, “mi utilizzano poco”, non esistono più quando vanno all’estero. Non hanno alibi e allora scatta qualcosa”.
Come fare per riprodurre lo stesso schema in Italia? “Intanto stiamo migliorando. Quest’anno abbiamo avuto diversi italiani protagonisti. Tonut, mvp del campionato. Ricci e Pajola decisivi nello scudetto della Virtus. Ma è indubbio che Polonara, Fontecchio e Vitali siano migliorati tantissimo giocando all’estero”.
Aveva promesso novità in caso di qualificazione… “A 67 anni mi farò un tatuaggio celebrativo. Non è il mio pane, mi devo preparare psicologicamente, ma lo farò. Magari colorato. Ho giocato due Olimpiadi e mia moglie si chiama Olimpia. Un presagio…”.
A Tokyo si va conche spirito? “Non solo per partecipare. Conosco la voglia di emergere di questi ragazzi. Rimarrei sorpreso se vedessero i Giochi appena conquistati semplicemente come un punto di arrivo”.
Un grazie va pure a Bucchi e Galbiati, i suoi assistenti… “Parto da quelli che c’erano prima, Conti e Maffezzoli, con cui abbiamo impostato il lavoro quattro anni fa. E a Roberto Brunamonti che mi ha accompagnato in questo viaggio. Il mio pensiero va in primis a loro. Nel nuovo staff abbiamo creato una
bella sintonia, mi sono trovato bene. Bucchi lo conosco da molti anni, Galbiati invece non lo conoscevo, è un vulcano. Poi un plauso va fatto anche a Lele Molin che era già con me”.
Ora che è ai Giochi può anche togliersi qualche sassolino. Questi ultimi mesi non sono stati facili per lei. “Nella mia carriera nessuno mi ha regalato nulla né da giocatore né da allenatore. Tutto quello
che ho ottenuto me lo sono guadagnato. Ho cominciato da terzo allenatore, ho fatto la C2, poi la
B e via dicendo. Quindi sono felice e sereno. Non inseguo le voci, so quali sono i miei pregi e i miei limiti. Sono soddisfatto di me stesso e non vedo l’ora di riabbracciare mia figlia e mia nipote che non vedo da due anni”.