A 38 anni è ancora un fattore nella Germani Brescia e, più in generale, nella nostra seria A.
Intervistato da Andrea Tosi per La Gazzetta dello Sport, David Moss racconta i segreti del suo “Elisir di lunga vita”.
Un estratto delle sue dichiarazioni.
Moss, fedeltà fa rima con longevità. Come gestisce questa fase della sua carriera? “È una sfida con me stesso, voglio aiutare la squadra uscendo dalla panchina, con tutta la passione che ho per questo gioco. In passato sono stato molto vicino a smettere, ma il basket per me è una salvezza, mi ha aiutato a rialzarmi nei momenti più difficili della mia vita come è successo quando ero alla Virtus. Dopo la passione ci sono le motivazioni e ancora tanta voglia di competere ad alto livello. Quando verrà il tempo di lasciare il campo sarò il primo a saperlo. Oggi le emozioni che provo tornando in palestra mi spingono ad andare avanti. E ne sono felice”.
Quanto è importante il ruolo del coach e dei compagni per un giocatore della sua età? “Ognuno di loro è diverso dagli altri, ognuno di loro può insegnarmi qualcosa. Ho la fortuna di conoscere da tempo coach Magro, lui sa bene come utilizzarmi e questo mi aiuta molto a interpretare il mio ruolo. Stare bene”.
Ha avuto dei modelli, campioni di longevità? “Intanto, quando sono arrivato a Jesi inA2 pensavo all’Eurolega e non a quanti anni avrei giocato. Poi ho conosciuto Ryan Hoover, mio compagno a Jesi e a Teramo. All’epoca lui aveva 35 anni e io 24. Ryan lavorava come me se non più di me. Era un martello. Mi ha aperto la mente. Poi ho giocato contro Carlton Myers e Dan Gay, due fenomeni che hanno smesso a 40anni e oltre. Sapevo tutto di loro: come si allenavano, come si alimentavano e curavano il loro corpo. E mi dicevo: posso farlo anch’io”.