L’allenatore dell’Openjobmetis Varese Matt Brase si è raccontato in un’intervista di Giuseppe Sciascia de La Prealpina. Di seguito un estratto dell’articolo.
“Avevo una buona situazione a Portland, ma quando ho parlato con Luis Scola e Mike Arcieri mi hanno prospettato la possibilità di tornare a praticare lo stesso basket di quando ero a Houston ed ai Rio Grande Valley Vipers. Più ci parlavo e più mi convincevo: ho lavorato come assistente NBA per diverse stagioni, l’opportunità di tornare capo allenatore e lavorare e giocare nella maniera che preferisco era ghiotta. Ho perso qualche notte di sonno, però ritengo che confrontarsi con le sfide fuori dalla propria comfort zone e pensare fuori dagli schemi sia il modo per provare a crescere”.
“Ero stato due volte a Treviso per l’Eurocamp più altre visite in Lituania, Slovenia e Germania sempre per eventi legati al mio lavoro nel mondo del basket. Varese è un posto fantastico dove vivere e lavorare: la città è bella e godibile, mi trovo benissimo anche al di fuori del campo. Il tempo per girare non è tantissimo perché il lavoro del coach non si esaurisce solo con l’allenamento quotidiano: bisogna pensare a preparare le sedute e vedere i video. Però c’è modo per girare e visitare una zona che offre tante attrazioni”.
“I miei modi pacati nell’approccio con i giocatori ed in panchina? È quello che ho imparato da mio nonno Lute Olson: “Non si insegna col tono di voce” diceva. E lo stesso approccio lo aveva Mike D’Antoni. Io provo a dare loro dei suggerimenti, piccole correzioni: “Hai visto questa situazione? Pensa a questo”. Mettere pressione non aiuta, e allo stesso modo non aiuta dare troppe informazioni, che rischiano di fare pensare troppo e rallentare i giocatori sul campo”.