Nell’intervallo della partita dell’Olimpia Milano contro la Reyer Venezia verrà ritirata la maglia numero 36 della squadra biancorossa, che rappresenta sia l’anno di nascita dell’Olimpia Milano sia quello di un pilastro della storia delle “Scarpette Rosse” come Coach Dan Peterson. In un articolo di Umberto Zapelloni de Il Foglio sono riportate alcune dichiarazioni di chi ha avuto modo di condividere con lui esperienze di campo, ma anche di vita.
Di seguito un estratto.
Dino Meneghin: “Devo tutto al little big man. Ha creduto in me quando a 30 anni tutti pensavano che fossi finito. Mi ha regalato una seconda vita sportiva facendomi giocare per altri 14 anni. Avevo capito che era un grande coach Milano amati ancora dai tifosi quando con il Billy venne a giocare a Varese. Io mi stavo azzuffando in mezzo al campo con John Gianelli non ricordo per quale motivo. Mi giro e lo vedo in campo a gridare contro di me. Mi suo albo d’oro se a 51 anni non è piaciuto vedere come difendeva un suo giocatore. Lui sembra burbero, ma è uno che sa stare alla battuta e con me e Premier si divertiva”.
Pantaleo Dell’Orco: “Dan Peterson con il suo carisma, la sua personalità e il suo entusiasmo ha contrassegnato un’epoca della storia dell’Olimpia. E’ stato capace di andare oltre il basket e diventare un personaggio di riferimento grazie alla sua apertura mentale e intelligenza”.
Toni Cappellari: “La cosa più difficile fu convincerlo ad andare a Parigi a incontrare Adolfo Bogoncelli il proprietario. Ma poi gli bastarono 10 minuti per farsi ingaggiare, solo D’Antoni ci mise meno. Con Dan di soldi si discuteva sempre… lui era l’unico a non avere la macchina della società, preferiva farsi accompagnare da Gallinari all’andata e da D’Antoni al ritorno. La leggenda racconta che non voleva la macchina perché poi avrebbe dovuto pagarsi la benzina… ma io che l’ho fatto guidare una volta sola vi posso assicurare che i motivi erano altri. Meglio davvero si facesse portare”.
Adriano Galliani: “Berlusconi è un innovatore e pensavamo che l’allenatore dovesse essere prima di tutto un motivatore. Ritenevamo Dan un innovatore e un uomo di grande talento. Tanto gli sport sono uguali a livello di motivazioni… Il coach ci ha detto di no e abbiamo preso Sacchi. Ci è andata bene comunque”.